giovedì 10 maggio 2012

Malo odore blues



Cielo poco nuvoloso. I venti saranno prevalentemente moderati e soffieranno da sud-sudovest. Le temperature minime saranno comprese tra 16 e 20 gradi. La voce squillante dell’uomo delle previsioni del tempo, che giungeva dalla televisione rimasta accesa, mi scrollò dal torpore in cui ero piombato. Dormivo ancora vestito e con le scarpe ai piedi da chi sa quanto tempo.


Schiusi gli occhi lentamente per non farmi ferire dalla luce del sole che filtrava abbondante dalla tapparella rotta e provai a ricordare cosa fosse successo. Avevo bevuto parecchio al locale che ormai frequentavo da un pezzo. Un posto senza pretese, bazzicato da operai che sbarcavano il lunario alla giornata, saltimbanchi, giocatori d’azzardo, magnaccia, mortidifame e falliti come me. Dalla sua ci aveva che era un luogo tranquillo, nessuno che facesse domande a cui non avresti voluto o saputo rispondere, né alcuno che ti guardasse con sospetto qualunque fosse il motivo che ti avesse spinto fin li, eri uno di loro. Era perfetto per chi non aveva più voglia di stare a sentire tutti quegli idioti che avevano in mano il mondo e, in qualche modo, anche la tua vita. Era perfetto per chi aveva rotto gli argini ed era straripato dentro se stesso, a un punto tale da non sapere più cosa fare per raccogliersi. Era così perfetto da non volere più tornarne indietro; mai più. Mentre cercavo un appiglio per tirarmi su dal letto, ricordai l’angoscia che quella sera mi spinse a continuare a bere nella penombra della stanza dove alloggiavo già qualche tempo.


Mi ero scolato le ultime due bottiglie di vodka comprate al supermercato, ascoltando Chet Baker, che cantava la sua canzone preferita “My Funny Valentine” e lentamente dentro quelle quattro mura che mi opprimevano m’inabissai. “Mai bere da soli” mi raccomandava Clelia quando bazzicavamo gli stessi locali. La solitudine, era solita ripetermi, avrebbe preso il sopravvento e, alla fine, mi avrebbe ucciso con molta facilità. Ma ero morto dentro da chissà quanto tempo. Solo che ancora non lo sapevo. La testa mi doleva come se avessi sbattuto violentemente da qualche parte e, mentre il mondo roteava furioso, stramazzavo in terra senza far niente di niente, senza neppure provare a mettermi una cintura di salvataggio. Ero stufo di guerreggiare con tutto e tutti, andavo alla deriva consapevole di ciò. Scrutai la stanza in disordine e il malo odore di vecchio e urina che proveniva dal pianerottolo mi perforò le narici. Per non cadere camminai fino al bagno, tenendomi alla parete. Dopo presi a svestirmi ma prima d’infilarmi sotto la doccia vomitai nel cesso. Nel piccolo specchio ovale non ebbi il coraggio di guardarmi in faccia.


Avevo sempre odiato le previsioni del tempo. A che mi serviva sapere se all’indomani ci sarebbe stato il sole o la pioggia, se sarebbe stato nuvolo o ventoso? A che cazzo serviva saperlo? Cosa avrebbe aggiunto in più alla mia vita quel delirio scientifico? Dovevo sopravvivere qualunque fosse stato il tempo e tanto valeva alzare la tapparella e regolarsi di conseguenza. Ma la gente vuole sapere oggi cosa accadrà domani, nessuno che si lasci sorprendere dal caso, tutti pronti a fare chiaroveggenze. Ero davvero un rimbambito rimasto a bussare dietro quell’ultima porta. Oggi chi vuol più perdersi per strada o in fondo alla notte? Tutti vanno veloce anche se non hanno nulla da fare. Li vedi che sfrecciano nelle loro auto muniti di quelle scatolette attaccate ai cruscotti da cui fuoriesce la voce di una donna robotizzata che li guida fino a destinazione. Tutto programmato, tutti a fare le stesse cose, tutti raggianti con un gin tonic in mano e quel sorriso ebete di circostanza. A me piacciano cose delle quali alla maggior parte della gente non frega nulla, come abbassare il finestrino per chiedere un informazione. Che poi è anche un modo per conoscersi, per scambiare quattro chiacchiere. Prima di spegnere il televisore guardai la data alla pagina 103 del televideo; era da due giorni che dormivo e non mi sentivo per niente sveglio. Forse avevo ancora voglia di sognare. Nel contempo, gettai un occhiata veloce alle notizie ed appresi della morte di Clarence Clemons, per 40 anni il sassofonista e braccio destro di Springsteen. Mi adagiai sul bordo del letto e mi venne in mente quel solo di sax in Jungleland. Quel solo che mi porto cucito indosso da una vita, come una seconda pelle. E di colpo, non so perché, avrei pagato per sentirmi ancora giovane, incredulo e anche ridicolo. Di colpo mi rammentai della mia vanità, della mia spocchia e di come mi sentivo fiero di appartenere a quel mondo di cani sciolti che era la E Street Band. Nei parcheggi i visionari si vestono nella nuova rabbia, nella strada secondaria le ragazze ballano ai dischi proposti dal DJ. Amanti con la tristezza nel cuore, si dimenano negli angoli bui disperati, mentre la notte avanza, solo uno sguardo e un sospiro, e sono spariti (Jungleland).


A quei tempi scivolavo verso l’ignoto e quella luce a intermittenza mi teneva vivo, vigile. Il silenzio non era ancora calato e avevo un bel da fare a correre dietro a tutte quelle cose che uscivano dall’ombra, puro e sincero come non lo sono più. Col vento imbronciato mi avevano lasciato anche Willy De Ville, Warren Zevon, Nico, John Campbell, Jim Carroll, Johnny Thunders, Lowell George, Bob Marley, Joe Strummer, Captain Beefhearth, Kurt Cobain, Ian Curtis, Gil Scott Heron, Richard Manuel, Michael Bloomfield, Bon Scott, Fred “Sonic “Smith, Mark Sandman, che a metterli in fila mi sembra un massacro. Mi ero sfamato di sogni, mi ero nutrito l’anima, e loro erano tra quelli che mi parlavano della mia solitudine e non ero più solo per niente. Tutta gente che aveva preso la strada più stretta, camminando sul lato più difficile del rock’n’roll. Io di loro mi fidavo. Io che non mi sono mai fidato di nessuno! Avevo lottato per un mondo migliore più giusto, più equo, un mondo che si prendesse cura dei poveri, degli ultimi, di chi non c’è la fa. Avevo lottato contro i ricchi prepotenti, i politicanti bugiardi, perché alla fine siamo noi che paghiamo il prezzo più alto del loro malo odore. Ma tutto è rimasto tale e quale, anzi si è fatto ancora più melmoso, più buio, più cupo. Avevo sognato insieme a loro ed avevo perso. Punto.
Mi alzai dal letto e in quella confusione che regnava non temetti più nulla, tanto le cose accadevano ugualmente, silenziose e pigre, portandosi dentro una malinconia che alla fine mi schiariva i sentimenti. Cercando tra le scartoffie sul tavolo il cd di Lady Day che avevo comprato in edicola allegato ad un quotidiano, selezionai “Strange Fruit” e mi vestii. Non ricordo più che tempo facesse.


Nessun commento: