sabato 30 giugno 2012

LEZIONI DI GEOMETRIA IN CUCINA: VOLUME E DIAMETRO DEL RISPETTO

Stanotte ho avuto la camera tutta per me, ma l'ho scoperto solo stamattina. Mi stavo chiedendo se per caso in quest'ostello io non sia l'unica italiana che non conosce l'inglese, e mi son quasi risposta di sì. Ieri però, udite udite, ho detto per la prima volta ufficialmente "ja" in risposta alla domanda "Sprichst du Deutsch?". Alcuni di quelli che ultimamente mi parlano in tedesco, o mi chiedono se lo parlo, sono membri dei gruppi punk.

Ieri in cucina ne ho conosciuto uno, il gruppo più normale: erano seduti nella veranda, ma sia la porta che la finestra della cucina erano aperte, la finestra era aperta per far passare il filo della radio che suonava al volume massimo la loro musica spacca timpani, che comunque non mi dispiaceva, anzi ho avuto l'impressione che anche l'acqua sul fuoco seguisse il ritmo segnato dalla batteria e dalla chitarra, raggiungendo il bollore prima del solito e consentendomi di pranzare senza aspettare i soliti venti minuti. La porta invece non aveva altro motivo apparente per rimanere aperta, se non quello di permettermi di fumare con loro: non so di preciso quali sostanze abbia fumato durante il mio pranzo, so solo che dopo mi son sentita meglio; dalla finestra aperta non entrava invece il freddo, dato che c’erano 7 gradi e si stava bene, bensì immagini di vita in comune, anche se non sempre mi sono arrivati i dettagli, perciò non vi so dire con precisione se il capellone riccio e il capellone moro si siano scambiati un bacio profondo o il fumo bocca a bocca: in ogni caso un modo come un altro per rendere l'altro partecipe delle proprie sensazioni. Uno dei ragazzi mi ha approcciato in cucina, naturalmente in inglese, poi mi ha presentato il suo amico, che aveva il compito di fingersi italiano, infatti mi ha salutato con un impastato "bonciorno".
I miei compagni d’avventura in questi giorni sono proprio loro: tante persone vestite di nero attillato, talvolta abbelliti da catene di varie dimensioni, ma non tutte le teste hanno creste colorate: per questo prima ho detto che questo è il gruppo punk più normale dell'ostello. La cosa strana è che sentire odore di birra (leggete "alito"), scambiare battute col tedesco o con il suo amico o chi era (non sono sicura di poterli distinguere in tribunale), e ascoltare musica ad alto volume, anche se non è proprio il mio genere musicale, mi ha fatto sentire a casa. Che razza di infanzia ho avuto, se mi sento a casa fra ubriachi tedeschi vestiti da scheletri?

I gruppi punk sono a Berlino per il Punk & Disorderly Festival, perciò non fanno orario d’ufficio. Oggi alle dieci del mattino sono scesa in cucina per la mia colazione, e ho trovato di nuovo, o forse dovrei dire “ancora”, il gruppo punk seduto fuori che rideva impastato come un matto, la porta aperta, la cassa di birra davanti a loro sul tavolo, il fumo che penetrava silenzioso in cucina, loro visibilmente andati. Io però ho aspettato di iniziare ad imburrare il mio pane, prima di poter interagire con qualcuno di loro, perché da quando sono diventata grande, nessuno mi rivolge mai la parola se non sto facendo colazione. Appena le prime due fette sono saltate fuori dal tostapane, io ho preso in mano burro e coltello, poi coltello e pane, e ho iniziato ad imburrare e, come mi aspettavo, qualcosa è successo.
Fetta di pane numero uno. Un tipo crestato entra da fuori, mi vede china sul ripiano vicino alla porta che da sul corridoio e si blocca sconcertato; il gesto di bloccarsi all'improvviso gli fa perdere lo scarso equilibrio che gli era rimasto e per poco non cade all'indietro; io mi giro quando sento un borbottio, pensando che sia il suo modo di salutarmi, ma vedo il suo sguardo perso nei chilometri apparentemente infiniti che separano me dalla porta: infatti continua a spostare lo sguardo da una all'altra (siamo io e la porta), e sembra davvero incredulo. Biascica qualcosa, di cui io capisco solo "toilette", mi sembra davvero in difficoltà, come se tutto il mondo che lui conosce (birra e cessi, suppongo) sia stato improvvisamente spostato e sostituito da una tipa senza cresta ma coi capelli raccolti in una coda, vestita di nero non attillato e privo di catene, che imburra il pane laddove un tempo passava la strada che conduce da un capo all'altro del suo mondo (ossia dalla birra al cesso).
- Toilette? - ripeto per maggior sicurezza, non voglio infatti dargli indicazioni sbagliate rischiando di gettarlo nel panico più totale.
Sempre biascicando lui trova il coraggio di chiedermi se quella porta è il bagno: evidentemente pensava che tutto l'ostello fosse costituito da veranda-cucina-porta del bagno. Però se io sono lì, e non sono passata davanti a loro per arrivarci, forse sono uscita da quella porta, e se da quella porta sono uscita io, forse quella porta non porta al bagno come lui invece credeva. Lui è finalmente giunto a questa conclusione, quando io gli confondo di nuovo le idee rispondendo inaspettatamente con un: - Ja. –
Lui, ormai terrorizzato, ripete: - Ja? –
Ed io a quel punto decido di dargli un aiutino, perciò, sempre sorridente come se cose del genere ne facessi tutti i giorni all'asilo dove insegno, gli apro la porta e gli ripeto: - Ja, hier links. –
Anche perché a destra c’è la sala ristorante, e non voglio essere causa di scompiglio nella metà borghese e benpensante degli ospiti dell'ostello. Lui mi ringrazia con tono veramente sollevato, ed esce dalla cucina verso il bagno; credo che all'uscita dal bagno poi si sia perso, perché non è passato dalla cucina, ma ha fatto il giro dalla reception ed è uscito in cortile dalla porta d’ingresso, e chissà a che ora era partito dal bagno per poter arrivare di nuovo in veranda solo quando io ero ormai alla quarta fetta di pane.

Fetta numero due. Due tipi vestiti di pelle nera (ma non come gli africani) entrano dal corridoio, mi salutano ed escono fuori in veranda; io quasi subito sento parlare di radio.

Fetta numero tre. Uno dei due tipi appena usciti, rientra e biascica qualcosa di cui capisco solo "Gesellschaft". Dalla mia faccia riesce a capire che non capisco, anche perché, ve lo dico subito, la parola che ho capito significa "società". Dopo aver ripetuto di nuovo la frase, decide di cambiare tattica, e usa un'altra frase, di cui capisco solo "Gast", allora intuisco che mi sta chiedendo se lavoro all'ostello o se sono una cliente. Io rispondo la verità e lui esce di nuovo.

Fetta numero quattro (è l'ultima, lo giuro). Rientra lo stesso tipo e mi chiede un'altra cosa impastata, di cui capisco stavolta solo "Radio". Ancora una volta deve ripetere, ma siccome io ho chiesto di ripetere con un semplice: - Wie? – lui intuisce qualcosa e mi chiede: - German? –
Allora mi rendo conto che aveva parlato in inglese, e lo confermo col ricordo di quella strana pronuncia: "redio". Ecco perché, premurosa, mi affretto a dire "ja", e a quel punto lui ripete in tedesco, e stavolta capisco tutta la frase: mi stava chiedendo se avevo visto una radio.
Io una radio l'ho vista ieri per ben due volte: la prima volta veniva ascoltata in veranda e per questo stava sul davanzale della finestra, aperta per lasciar passare il filo, invece la seconda volta una ragazza l'ha portata in reception, dove ha chiesto se gliela potevano custodire lì. Siccome non so se si tratti della stessa radio, rispondo semplicemente "nein". Lui però nel frattempo prende a gesticolare per farmi capire che la radio che cerca è rettangolare e grande più o meno così, ma la mia risposta negativa è definitiva, perciò alla fine lui esce di nuovo e senza radio. Un piccolo particolare che mi ha permesso di capire che si tratta dello stesso tipo della domanda sulla Gesellschaft, è che entrambe le volte è entrato in cucina con la sigaretta accesa, e sappiate che si tratta di un ostello in cui è vietato fumare ovunque, tranne in veranda (ma con la finestra chiusa) e in cortile.

Di me non si può certo dire ch'io abbia la puzza sotto il naso, anche se gli odori purtroppo li sento tutti, a volte ancor prima che vengano emanati. Incontrare tante persone, anche quelle che nel mondo da cui provengo vengono definite "strane", a me fa piacere, perché mi piace aprirmi a nuovi modi di essere, di vivere, di vedere il mondo. Ho imparato che una persona apparentemente strana, ad esempio nell'aspetto, nell'abbigliamento, nel modo di parlare o gesticolare, spesso nei fatti concreti si comporta "normalmente", e che persone del tutto normali secondo gli standard del mondo da cui provengo, una volta superato l'involucro più esterno, quello del primo impatto per intenderci, si rivelano completamente fuori dai loro stessi canoni. Ho imparato che per tutti esistono persone “normali” e persone “strane”, solo che le definizioni di ognuno portano a risultati differenti, e l'unico modo per conciliarli tutti è quello di dire "sono normali le persone come me, sono strane tutte le altre". Io però non riesco a vedermi come una persona normale in un mondo di normali, e allo stesso tempo non mi va nemmeno di essere etichettata come strana, piuttosto penso che ognuno sia qualcuno, qualcuno diverso dagli altri, ma senza voler dare alla parola "diverso" un'accezione negativa, bensì col significato di "a modo suo speciale". Ma se proprio volessi stabilire anch'io dei requisiti da possedere per poter essere definiti "normali" secondo il mio punto di vista, allora ne indicherei solo uno: rispetto.
Avendo sempre in mente che in ogni definizione, anche in quelle più lunghe di una sola parola, è bene includere di diritto un certo numero di eccezioni, vi invito a riflettere su una questione puramente tecnica: immaginate la cucina dell'ostello, e mi raccomando concentratevi perché dopo vi interrogo su quello che ho detto: la cucina è formata da un pavimento e da un soffitto, ciascuno dei quali ha una superficie di circa 3 metri per 4; tra il pavimento e il soffitto c'è una parete alta circa 3 metri, in tutta la cucina ci sono ben 4 pareti, e precisamente ce ne sono 2 larghe 3 metri e 2 larghe 4 metri; se voi ora vi prendete il disturbo di moltiplicare tutti assieme contemporaneamente questi numeri l'uno con l'altro, otterrete all'incirca il volume complessivo della stanza. Come potete vedere non è una cucina piccolissima, per questo la mia domanda è: perché stamane il mio Amico Punk, avendo a disposizione tutti questi metri cubi di spazio, ha agitato la sua sigaretta accesa precisamente sopra i soli dieci centimetri di diametro della mia tazza piena di caffè?


ELLE, sabato 30/06/2012

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