domenica 30 giugno 2013

Pezzi di un uomo




Oggi è sabato e il tempo è incerto. Dalla mia finestra guardo il sole che sta scemando lentamente dietro la collinetta e sono quasi ubriaco. Il telefono continua a squillare ma me ne sto fermo su questa sedia a cercare di afferrare il significato delle cose che seguitano a sfuggirmi. Così, senza accorgermene, finisco per scolarmi la bottiglia di vino da due euro al litro. Desidero andarmene da qualche parte, è da tempo che voglio cambiare aria perché a stare fermi le cose peggiorano di giorno in giorno. Tengo le palpebre strette, il capo reclinato e intanto penso che non ho mai fatto realmente parte di questa società e che il distacco tra me e il mondo si fa sempre più grande. Ma è solo colpa mia se adesso non riesco più a tenere a bada l’inquietudine. Ho i capelli arruffati e la faccia tirata. Mi alzo e vado in cucina a bere un bicchiere di acqua minerale. Qualcuno suona alla porta di casa, lo mando affanculo, che non mi rompa i coglioni chiunque esso sia. Per il momento ho voglia di dormire e che mi lasci a sudare e imprecare mentre qui da solo impazzisco. Cull'uocchie astritte e chino e suonno te resta 'o munno 'mmano e po' l'haje suppurtà cull'uocchie astritte e 'o viento attuorno te vieste e nun saje cchiù che cosa haje raccuntà' E nun ce sta piacere nun ce sta piacere nemmeno a ghi a fà' 'nculo pe' 'na sera (Nun ce stà piacere - Pino Daniele).

“Deve fare il furbo per riuscire a farcela in questo mondo” mi ripete lo strizzacervelli della mutua. Per un attimo mi guardo allo specchio che sta sulla parete proprio di fronte a me. Il foulard di seta legato al collo è assai simile a quello che usavo quando avevo diciassette anni e di cui allora mi servivo per affrontare i miei primi giorni di pioggia. Ho ancora i capelli lunghi alla Jim Morrison, sono vestito di nero e porto scarpe a punta di camoscio, come quelle che aveva Bob Dylan in una foto scattatagli  durante gli anni sessanta. E mi sento spacciato. Con questa faccia da stupido che mi ritrovo dove vuoi che vada, penso. Forse ad inseguire la pazzia della notte per poi restarmene supino a guardare il soffitto mentre ascolto la pioggia cadere. Lo strizzacervelli mi scuote urlandomi sul viso: “Non c’è posto in questo mondo, se continua in questa maniera”. “Non c’è posto cerchi di capirlo per i sognatori, per chi si affaccia al balcone solo per sentire l’aria del mattino sulla pelle o il tepore del sole. Non c’è posto per chi vuole perdersi dentro un giorno senza tempo. Lei deve pensare a produrre e consumare, lo capisce questo, vero? Non c’è posto per un confuso come lei. Deve prendere posizione avere un leader politico, dibattere cosa è giusto o sbagliato. Anche se poi resta tutto uguale non importa. Deve pensare a migliorare la sua posizione sociale, farsi un abbonamento ad una tele e guardare le partite di calcio. Iscriversi a facebook, cinguettare, farsi una cultura. Leggere gli articoli preziosi e saggi di Severgnini, Aldo Grasso, Ezio Mauro, Concita De Gregorio, Massimo Franco, e Eugenio Scalfari. In estate andare in vacanza con gli amici in barca a vela. Non può continuare a starsene in silenzio e pensare che un goccio di vino rosso, per di più scadente, o una canzone, una frase, uno sguardo, un libro di Bukowski, una carezza, banalità del genere possano cambiarle l’umore e renderla felice. Si faccia coraggio, mister Tristezza, una volta per tutte e accetti la realtà prima di diventare totalmente pazzo”, mi chiosò il dottore. Giuro che non eri una mia ambizione. Avevo in mente come stemperarmi. Camminai verso il bar e ordinai. Poi presi fuori il ghiaccio, sedetti al sole caldo. Guardai intorno a questa terra nuova. E dopo, oh Cool Blue Long Dark, mi hai rubato il cuore. (Cool Blue Stole My Heart-Joan Armatrading).  

Esco dall’ambulatorio con l’inventario delle mie disgrazie, e decido di andarmene a zonzo per la città. Arrivato nei pressi del porto, un gran via vai di militari mi mette in allarme e, siccome sono assai allergico alle divise, nella confusione che si è creata tento di cambiare rotta ma, dopo un occhiata un po’ più attenta, capisco che non ho nulla da temere, che è solo una parata militare in memoria di non so che cosa. Ascolto la fanfara suonare l’inno nazionale, poi mi accendo una sigaretta e sputacchio di lato. Ci sarà sempre la guerra e ci sarà sempre gente pronta a scannarsi. E in quell’istante prendo nota che ho perso l’ultimo scampolo di fiducia, l’ho cacciata da qualche parte ma non ricordo più neanche dove. Forse l’ho spinta in fondo al corpo insieme alla speranza e l’ho mandata giù talmente in profondità che è finita nell’intestino insieme alla merda. “Non scoppierà mai la rivoluzione”, me lo disse il vecchio Charlie, ma io allora non gli credetti. La gente non è disposta a cambiare se stessa. La prima cosa che farebbe durante i tumulti si accapiglierebbe per rubare un televisore, la stessa feccia che li ha avvelenati. Sono un cane solitario, e su questo non ci piove. Uno che preferisce fare tutto da solo, anche ubriacarsi. Sulla strada di casa, da Angelo, il bottegaio che vende il vino sfuso, ne prendo a credito cinque litri e adesso, e solo adesso, nel brusio del mio cervello si apre un varco. Mostra qualche emozione. Metti un’espressione nei tuoi occhi. Accenditi se sei felice. Ma se ti senti male, fai scivolare via queste lacrime. Suvvia, prova ad imparare a sanguinare. Quando prendi una brutta caduta. Accenditi se tutto va bene. Ma se va male, lascia che queste lacrime scivolino via (Show some emotion  - Joan Armatrading).

Sly Stone, prima di diventare un divo del rock, lavorava per una stazione radiofonica da dove trasmetteva ogni genere di musica. Da Dylan a Hendrix e James Brown. Questo gli permise di abbattere qualsiasi barriera e di non fissarsi solo con un genere musicale, cosa che generalmente i musicisti fanno. Nel 1969 sale sul palco di Woodstock insieme ai Family Stone e davanti a quell’ immensa platea si esibisce con il set esaltante di I want to take you higher e Dance to the music. Sly Stewart è un tipo difficile, ha seri problemi con la droga (ma chi non li ha in questo mondo!), è stato in carcere ed è pazzo quanto basta. Sul palco è un istrione animalesco e alle volte capita anche che è troppo “fatto” per suonare decentemente. La sua è una sintesi anarchica di musica soul, psichedelica, gospel, i cui intrufola anche della musica latina e della fusion ante litteram. Nel 1971 pubblica There’s A Riot Goin’On, un album di rottura, dove rock, acido e soul la fanno da padroni. Con puro radicalismo e militanza politica si schiera dalla parte dei sopraffatti, ed è strano che accada, ma alle volte succede che raggiunge le vette delle classifiche di vendita. Ha testi duri, questo disco, che parlano di rivolta, della ribellione dei ghetti, della lotta per l’integrazione razziale, del potere nero e del separatismo. ”La mia sola arma è la penna. E mi sento capace di usarla. Sono uno scrittore, un poeta. Le cose che fotografo ogni giorno, le faccio ritrovare in ciò che dico (The Skin I’m In).  Ma tocca anche i temi della disgregazione familiare in Family Affair. Sly, dopo l’uccisione di Martin Luther King, diventa portavoce del suo popolo ed è con questo disco e queste canzoni che lancia un duro attacco all’ordine mondiale dei bianchi. Tutte cose che il pallido, pallidissimo, signor Obama, si sognerebbe di pronunciare anche in una conversazione privata.

Nel corso della notte mi sono svegliato più volte con l’angoscia che mi attanagliava il cuore. E alla fine ho deciso di non dormire più, tanto i miei incubi avrebbero continuato a perseguitarmi e non me lo avrebbero permesso neppure se avessi voluto. Come chiunque, ho sempre fatto molti errori ma non ho mai cercato scuse o trucchi per difendermi. Forse non ho mai spiegato fino in fondo cosa mi accade dentro, ma è sempre stato troppo faticoso. Così, mi sono sequestrato da solo e sono rimasto in silenzio. Non ho rimpianti per questo, perché dovrei averli adesso che sono come una vecchia abat-jour posata sul comodino ad illuminare i ricordi. Adesso che intorno a me vedo solo i pezzi di un uomo sparpagliati per la stanza. La rivoluzione vi metterà al posto di guida. La rivoluzione non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione. Non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione. La rivoluzione non sarà una replica, fratelli. La rivoluzione sarà in diretta (The Revolution Will Not Be Televised - Gil Scott Heron). Mi sento davvero stanco in questo periodo, sarà che la primavera mi tiene l’umore basso. O, invece, è il fatto che più invecchi più capisci come vanno certe cose e  allora o t’incazzi, oppure ti ubriachi. Io ho scelto di ubriacarmi, anche se sotto la mia crosta il sangue ribolle. Sono circondato da disonesti, bidonari, gente che tesse la tela stando ben attenta che non si apra nessun buco. Tutto è già segnato scrupolosamente per i loro leccaculi, persone abituate all’ingrasso. E tutto se ne va alla deriva. Il mondo è buio e silenzioso. Sono fermo sul baratro quando dal brusio di una radio mi arriva una melodia che ho sepolto sotto cumuli di macerie. Lei mi manda lettere d’amore blu fin dalla lontana Filadelfia per ricordare l’anniversario di qualcuno che io non sono più e mi fanno sentire come se ci fosse una taglia per il mio arresto. Mi sono rivisto com’ero anni fa. Adesso sono sempre in fuga e mi sposto in continuazione. Ecco perché ho cambiato nome. E non pensavo mi avresti mai trovato qui (Blue Valentine - Tom Waits).

Nel Bronx un gruppo di ragazzi sta in mezzo alla strada. Hanno l’aria aggressiva. Un uomo nero vestito di nero porta un cappellino di lana e occhiali a specchio. Sta  attraversando con passo veloce il marciapiede. I cugini Bramante lo osservano, seduti su una decapottabile bianca, toccandosi il  cazzo e passandosi uno spinello che è lungo come una tromba. L’uomo nero è un sobillatore, poeta, musicista,  scrittore. Un genio. Uno che non ha mai alzato la bandiera dei vincitori. Chiude gli occhi per un istante. E’ un circo d’anime questa strada. Il jazz è John Coltrane. Il blues e a Jackson, Tennessee. Occhi che tornano a guardare. La poesia è Gil Scott Heron. Un pallido sorriso è lo spettro di un sorriso. Reflection è del 1981 e chi non lo hai mai ascoltato può solo farsene una colpa. C’è polvere e sangue, odio e amore. C’è la rivoluzione, i ghetti pieni di droga, i diritti civili e l’angoscia, quell’angoscia di non farcela. La vita scorre e pulsa, anche dove si spengono i lampioni e non passa più nessuno. E’ come una cicatrice profonda sulla pelle del popolo americano, questa voce. Mattino come principio di un nuovo giorno con tutta la sua luminosa promessa splende prima pallido poi brilla sullo Zimbabwe su El Salvador sulla Namibia sulla Polonia ovunque un uomo osa protestare per un cambiamento. Siamo nati alla mezzanotte del periodo più scuro  ma sicuramente il primo minuto di un nuovo giorno offre… nuova forza (Morning Thoughts - Gil Scott Heron). 

Cammino su e giù per la stanza e tutto mi sembra una fregatura. In cosa si sono trasformati i miei sogni non lo so più. Certo ci sono un sacco di persone sbronze come me a quest’ora della sera. Da dove comincio allora? Forse da quel libro che devo scrivere. Mi riempio il bicchiere mentre una fredda tristezza mi attraversa il cuore. L’ho imparato su me stesso che quando si cammina dal lato infernale non si torna più indietro. È una notte molto buia e sento le sirene nella strada. Credo che lascerò dondolando questa città. Come sogni mezzi dimenticati, come una pietruzza nella scarpa. Mentre cammino per queste strade e il fantasma del tuo ricordo e una spina dentro un bacio e il ladro che spezza il gambo di una rosa (Blue Valentine - Tom Waits).





venerdì 28 giugno 2013

ATTENTI A QUEI BLU !


Dopo l’episodio pilota di due settimane fa, arriva la prima vera puntata della trasmissione radiofonica Attenti a quei blù !  Tornano dunque quegli scalcinati di Indie Brett & Danny Rock, con due ore di musica, di chiacchiere in libertà e di minchiate assortite (tante). Non mancheranno, a rendere più delirante la puntata, gli interventi in bergamasco dell’amico Lozirion e un incredibile, si fa per dire, ospite a sorpresa. Ovviamente, la radio è un’altra cosa, Brett & Danny sono tutto tranne che dei professionisti, ma se vi accontentate dell’improvvisazione di certo  il risultato finale non vi dispiacerà. Potete ascoltare la trasmissione (o scaricare il podcast)  cliccando QUI, oppure cliccando sul logo posto alla destra di questa pagina.

A seguire, domenica sera, a partire dalle 22.00 circa, andranno in onda (in diretta) i magnifici Ale & Franz (loro si che ci sanno fare), con una nuova puntata di Affettati Misti.

Buon ascolto !

Vincenzina e Lyonel

"Sola me ne vo per la cittá, cerco tra la gente che non sa..."

per maggiori info su Lyonel Feininger clicca qui

martedì 25 giugno 2013

Cambia la tua vita con un click



Tempo di rivalutazioni. Il post di oggi è dedicato a un grande del cinema americano, spesso sottovalutato.
Ho esagerato?
Non è un attorone fenomenale, proprio per niente, né un genio della comicità. È solo uno che a suo modo è diventato un caso della comicità a stelle e strisce. E a me mi piace. C’è stata la rivalutazione dei trash movies anni ’80, gente come Quentin Tarantino va in brodo di giuggiole per gli spaghetti western e per le porcherie con Lino Banfi, io invece in questa sede voglio riabilitare, almeno in parte, le commedie sboccate, stereotipate, americanissime e sceme con Adam Sandler.
Attore che si è anche cimentato con pellicole differenti, come la stralunata e splendida commedia di Paul Thomas Anderson Ubriaco d’amore o come 50 volte il primo bacio, quasi una versione più romanticosa di Ricomincio da capo, così come l’agrodolce vita di un comico messa in scena nel sottovalutato Funny People di Judd Apatow, oltre ad aver interpretato un caposaldo della comicità moderna come Terapia d’urto, al fianco di uno spumeggiante e cattivissimo (persino più del suo solito) Jack Nicholson.
La sua specialità però sono i filmetti, le commediacce, i cinepanettoni americani. Eccovene una manciata tutta per voi. Occhio a non fare indigestione.

(prima parte)



Cambia la tua vita con un click
(USA 2006)
Titolo originale: Click
Regia: Frank Coraci
Sceneggiatura: Steve Koren, Mark O’Keefe
Cast: Adam Sandler, Kate Beckinsale, Christopher Walken, David Hasselhoff, Henry Winkler, Sean Astin, Jonah Hill, Jennifer Coolidge, Katie Cassidy, Cameron Monaghan, Jake Hoffman, Lorraine Nicholson, Sophie Monk, Nick Swardson
Genere: fantaSandler
Se ti piace guarda anche: The Family Man, Una settimana da Dio, S.O.S. Fantasmi, Vero come la finzione, Pleasantville



Non vi piace questo film?
Non c’è problema, potete schiacchiare il pulsante fast forward e andare alla recensione di un’altra pellicola.
Non vi piace proprio Adam Sandler in generale?
In tal caso, cliccate sul link a qualche mio vecchio post.
Non vi piace Pensieri Cannibali?
Allora che vi devo dire? Ascoltate i pareri cinematografici di Vincenzo Mollica o di Mr. James Ford.



Per quei due gatti che sono ancora rimasti qui a leggere, dico che nell’ambito della filmografia del comico newyorkese Cambia la tua vita con un click rappresenta la pellicola: Adam Sandler + fantascienza.
All’interno della tipica commedia sandleriana, entra qui in gioco in gioco infatti un elemento sci-fi. Un evento paradossale, di quelli alla Ricomincio da capo o alla The Family Man, un film quest’ultimo che mi ricorda tantissimo Click. A un certo punto, per magia e con l’aiuto di Christopher Walken, Adam Sandler entra in possesso di un telecomando universale molto particolare. Il telecomando non funziona solo con la televisione e gli aggeggi elettronici, ma può essere applicato a qualunque ambito della sua vita. La app ha ovvi effetti comici, dal mettere il muto alla moglie che rompe, al sentire parlare il proprio capo in spagnolo. Non è che siano effetti poi così comici, ma vabbè. Questo non è solo e non è tanto un film comico. Questo è un film drammatico. Ebbene sì.
Stufo di tutti gli impegni, diviso tra lo stress da lavoro e lo stress da famiglia, Adam Sandler comincia a mandare avanti in fast forward tutte le parti noiose della sua vita, come il traffico, le malattie e persino il sesso coniugale…
Nel film, la moglie di Adam Sandler è Kate Beckinsale, tra l’altro qui più topa che mai. Roba da raggiungere picchi assoluti di gnoccaccine che poche altre donne al mondo possono eguagliare. Adam Sandler quindi è scemo?
Sì, è scemo. È talmente fissato con la sua carriera da dimenticare tutto il resto, persino la moglie MILF, fino a che le cose con il telecomando non gli sfuggiranno del tutto di mano…



Nella seconda parte, il film diventa un dramma futuristico. Ve l’ho detto che non è un film comico. Non solo, almeno. Cambia la tua vita con un click a un certo punto cambia film con un click e si trasforma in una riflessione profonda (profonda per quanto può esserlo una pellicola con Adam Sandler) sulla vita. È un film esistenziale. Proprio così. Ed è persino commovente. Per quanto assurdo, trash, semplicistico possa essere considerato, è una visione emozionante, che in più ci rammenta una lezione importante: le parti apparentemente noiose, quelle che nelle pellicole cinematografiche di solito vengono saltate proprio come fa il protagonista, in realtà sono il sale della vita. Ogni volta che vorreste schiacciare il pulsante flash forward, o che vorreste cambiare canale, fate quindi attenzione. Potreste perdervi qualcosa di prezioso. Come questo post su Click e sul cinema sandleriano.
(voto 7/10)



Io vi dichiaro marito e marito
(USA 2007)
Titolo originale: I Now Pronounce You Chuck & Larry
Regia: Dennis Dugan
Sceneggiatura: Barry Fanaro, Alexander Payne, Jim Taylor
Cast: Adam Sandler, Kevin James, Jessica Biel, Ving Rhams, Dan Aykroyd, Steve Buscemi, Nick Swardson, Dave Matthews, Lance Bass, Rob Corddry, Chandra West, Jamie Chung, Rob Schneider, David Spade, Nicholas Turturro, Steve Buscemi
Genere: omoSandler
Se ti piace guarda anche: In & Out, Mrs. Doubtfire, Blades of Glory


 Adam Sandler + Gay.
Come anche negli altri casi, il cinepanettone americano è composto da due ingredienti. Uno è l’elemento base, quello fisso che non può proprio mancare, ovvero Adam Sandler, di solito accompagnato da tutta la sua cricca di amici onnipresenti, come il facia da pirla Nick Swardson e il puttano in saldo Rob Schneider. L’altro ingrediente invece cambia ogni volta. È la variante che mette in moto situazioni differenti in cui il Sandler può esprimere la sua solita comicità. Un cambiamento nella continuità.
Dopo la variante vagamente fantascientifica di Click, in Io vi dichiaro marito e marito tocca alla tematica gay. Non che avessimo dubbi in proposito, ma naturalmente gli stereotipi sull’omosessualità abbondano che è un piacere.
Battutacce, doppi sensi, volgarità varie? Presenti pure loro!
Canzoni super gay di ABBA, Ace of Base, Pet Shop Boys, Deee-Lite, Bee Gees, Queen, Cyndi Lauper, George Michael e Chaka Khan (il leitmotiv del film “I’m Every Woman” è suo)? Super presenti!

Qualche eccesso di buonismo, soprattutto nel finale? Presente pure quello.
I film di Adam Sandler saranno anche volgari e scorreggioni fin che si vuole, però alla fin fine dimostrano di possedere un cuore d’oro e un occhio di riguardo per i buoni sentimenti. Happy ending spesso zuccherosi compresi. D’altra parte, anche questo fa parte della commedia, altrimenti ci ritroveremmo in un drama e poi siamo pur sempre nell’ambito del cinemone commercialone americanone, che altro pretendere?
La sceneggiatura co-firmata tra gli altri anche da un certo Alexander Payne, non è poi nemmeno tanto male. In bilico tra politically correct e incorrect, la vicenda dei due pompieri etero, il poco divertente Kevin James e il nostro eroe di giornata Adam Sandler, che fingono di essere gay, in modo da permettere al secondo di essere tutore legale dei figli del primo, funziona e diverte abbastanza. A mettere in crisi il playboy Sandler nel suo fingersi omosessuale ci penserà l’avvocato dell’improvvisata coppia, interpretato da una Jessica Biel che a me di solito non dice un granché, però qui va riconosciuto che è piuttosto sexy.
Una commedia gay, non gay quanto Blades of Glory con Will Farrell va detto e nemmeno quanto Behind the Candelabra, ma in grado di rendere comunque molto gai.
(voto 6/10)


continua...

Cannibal Kid

sabato 22 giugno 2013

Il grido del cuculo





Il cielo sulla sua testa si era fatto rossiccio e quella stella sperduta gli parve un fermaglio per capelli. La notte era calata ruvida come una ballata rock di Frankie Miller. Non c’era più niente in questo fottuto mondo che gli importasse, disse pensieroso fissando la strada buia e rigirandosi tra le mani la bottiglia vuota. Un vento umido proveniente dal mare saettò sul suo viso. Era caduto ancora una volta, ma non era una novità neanche questa per uno precipitato in terra ancora prima che nascesse. Spinse il tasto del play che stranamente schioccò come un bacio sulla guancia e la canzone ripartì.Melinda era mia fin al momento che la trovai stretta a Jim mentre lo amava. Poi arrivò Sue mi amava intensamente questo è quello che ho pensato. Io e Sue. Ma anche questo finì. Non so cosa farò. Ma fino a che non troverò la ragazza che vuole rimanere e non giocherà alle mie spalle. Sarò quello sono. Un uomo solitario. Un Uomo solitario (Neil Diamond - Solitary Man).
Hai voglia a spingerli da qualche parte, a seppellirli nell’immondizia o sotto fiumi di alcool, i ricordi tornano sempre, specie quelli più dolorosi. La strada silenziosa era gialla di luna. Strinse per un attimo gli occhi che gli bruciavano maledettamente e congiunse le mani a mo’ di preghiera. Nel palazzo di fronte si accese la luce di un bagno. Si sbottonò la camicia bianca intrisa di sudore e una smorfia gli irrigidì il volto. Il pallore del suo viso celava una rabbia mortale. Era sbucata all’improvviso quella donna, alta, bella, con uno charme tale da mandarlo in tilt come non gli era capitato mai in vita sua. Forse era un fantasma sbucato da chissà dove e a cui lui non doveva dire nulla. Adesso, però, seduto nell’abitacolo, sembrava che portasse tutto il peso del mondo sulle sue spalle e,  a guardarlo negli occhi, faceva davvero spavento. Con quell’aria da animale ferito sembrava una ballata aspra dei Thin White Rope E qualcuno al telefono seppe le cose che io avevo sempre conosciuto Colonne sonore canticchiate ai sogni che avevo dimenticato Ho amato il telefono, parlato col segnale di linea Mentre la gente sui marciapiedi fuggiva da me (Diesel Man –Thin White Rope). 
L’orologio a cucù sulla parete dell’ingresso misurava inesorabile il passare delle ore. Si racconta che il canto del cuculo è profetico, capace d’indicare la buona e la cattiva sorte. Poco prima che quell’uomo arrivasse, sua madre era solita chiuderlo a chiave nella viscere buie della sua stanza e solo dopo che il cuculo cantava tre volte gli riapriva la porta. Aveva otto anni, e questo succedeva ogni qual volta suo padre si allontanava per lavoro. Un commesso viaggiatore, suo papà, che ogni quindici giorni faceva il giro dei suoi clienti fuori città assentandosi anche tutta la settimana. Aveva memorizzato le gesta di sua madre e sapeva che quel giochino, così lei lo chiamava, stava per iniziare. Poco prima che quell’uomo arrivasse si sistemava i capelli, si profumava il collo e indossava sotto la vestaglia una sottanina nera di seta. Poi accendeva il giradischi e ascoltava quella canzone. Sempre la stessa: Mi ricordo quando noi eravamo due bambini e puntavamo le pistole dai cavalli a dondolo. Bang bang. Io sparo a te. bang bang. Tu spari a me. bang bang. E vincerà bang bang. Chi al cuore colpirà (Bang Bang - Dalida).  
Lo chiamava “Bang Bang”, era così che lo chiamava da sempre sua mamma. Avvicinandosi al suo viso, glielo raccomandava che quello era un segreto fra di loro e che doveva restare tale per sempre. “Ricordalo, Bang Bang, ricordalo”, gli ripeteva, “non dirlo mai a nessuno”. Lui, così piccolo, non capiva e si limitava ad annuire stringendosi forte alle sue gambe. Quando era chiuso nella stanza per non sentire i gemiti aveva imparato a svuotare la mente, a non pensare a nulla. Restava immobile seduto sulla poltroncina, inebetito chiudeva gli occhi e vedeva tutto nero. Ed era come se morisse. Solo il canto del cuculo lo scuoteva. Ma era un fremito che durava un attimo. 
Nella penombra dell’abitacolo si guardò le mani ingiallite dalla nicotina e quelle dita diventate tozze da sembrare gonfie. Erano mani possenti, le sue, mani che avrebbero potuto uccidere. Tali e quali a quelle di suo padre. Tre uomini in abiti eleganti con cravattino e scarpe lucide lo distolsero dai pensieri. Parlottando tra loro gli passarono accanto, e gettandogli un occhiata svogliata scomparvero nella notte. Aveva come l’impressione che dovesse stare sempre in castigo tanto che non ci capiva più nulla delle cose del mondo. Troppo dure le batoste che aveva ricevuto. Ma giù nei vicoli, se abbassi la guardia, ti fanno fuori in un baleno. E i teneri di cuore hanno vita breve. Accese una sigaretta, anche se si sentiva la gola grattare, e tirò una lunga boccata bruciando il filtro che divenne molle. Abbassò il finestrino e una folata di vento lo fece rabbrividire. Come una canzone dei Beasts Of BourbonRidestato nella stanza di Johnny, Mama era proprio lì accanto al suo letto e le mie mani intorno alla sua gola, desiderando che entrambi fossimo morti. Pensi che sia pazzo, Mama, e tu? Ho appena ucciso il cagnolino di Johnny. Pensi che sia fuori di testa, e tu, Mama? Faresti meglio a farmi rinchiudere (Psycho - Beasts Of Bourbon).
Con le dita si trastullò per un po’ sul volante. Poi si ricordò di prendere la pillola per i nervi che teneva nel taschino della giacca. Tirò fuori l’astuccio, ne staccò una e la inghiottì. La luce dei fari di una macchina che transitava in senso opposto illuminò per un attimo il marciapiede. Qualche isolato più avanti, sepolto nel buio riconobbe un uomo. La sua faccia era  indubbiamente smorta, ma sinistra. Però su di lui non sortì alcun effetto. Mise il nastro di Otis Redding e Hard To Handlepopolò le ombre. Era chiaro che non gli faceva bene rimuginare nel passato, ma quello torna sempre quando meno te lo aspetti ringhiandoti nell’anima. Certo, aveva fatto di tutto per dimenticare, ma alle volte dimenticare è quasi impossibile.Ho lasciato la mia casa in Georgia. Diretto verso la baia di Frisco. Perché non avevo niente per cui vivere. E sembra che niente incrocerà la mia strada (Sittin’On The Dock Of The Bay - Otis Reeding).
Il cuculo aveva cantato tre volte e poi altre due. Le aveva contate con le dita della manina, tenendola aperta sulle ginocchia. Come pietrificato, se ne restava seduto immobile aspettando che sua madre lo facesse uscire. Dopo il primocucù aveva udito dei passi nel corridoio ma era tornato subito con la mente nel vuoto, non immaginando nessuna cosa. O forse fingendo a se stesso. Finalmente la porta della stanza si schiuse. Con la coda dell’occhio vide entrare due poliziotti in divisa che si avvicinavano delicatamente. Uno di loro lo prese in braccio e si accorse che si era bagnato. Bisbigliandogli di stare tranquillo, con la sua grossa mano gli coprì il viso mentre lo portava fuori dalla stanza. Ma l’odore pungente della morte è inconfondibile, lo senti anche se sei un bambino e lo avverti perché ti penetra nelle narici quasi fino a sfondartele. Velocemente l’agente percorse il corridoio, ma lui gli spostò la mano e vide il corpo di sua madre nuda riverso in terra. C’era sangue, sangue sui muri, sul pavimento, sui quadri, sulle maniglie. Persino sull’orologio a muro. C’era sangue dappertutto. Vide anche quell’uomo accasciato sulla porta della stanza da letto con un profondo taglio nel petto. L’agente lo caricò alla svelta dentro un auto cercando di tenergli con molto garbo la testa bassa, ma bang bang, sempre con un gesto fulmineo si divincolò e dietro la siepe incrociò lo sguardo di suo padre. Lo scorse lì, fermo, ammanettato, con gli occhi stralunati e le sue grandi mani tinte di rosso. E fu quella l’ultima volta. Non c’è solo odio nel mondo. Non ci sono solo buchi nel cielo. C’è solo un destino che non puoi rinnegare. Due amanti aspettano di morire. Joe si è ammalato in guerra, tra le vene e la mente. Sammy si è ammalato a causa di tutte le bugie. Due amanti aspettano di morire…C’è solo una lacrima che continua a volar via…(Two lovers Waitin’ To Die - Green On Red)
Anche se Bang Bang riusciva a svuotarsi la testa, quelle urla disumane non potevano essere ignorate. Suo padre li aveva uccisi con una crudeltà inaudita.  Durante quei momenti aveva azionato i meccanismi che ci portano a rinchiuderci nella nostra linea di difesa. Come una pietra scagliata in uno stagno forma dei cerchi che man mano si dilatano e si estendono per poi scomparire nell’infinito. Bang bang era scomparso da quel luogo e si era messo a volare nello spazio tra le nuvole. Ma quella puzza di morte, lui, la sentì sempre incollata addosso. Pure adesso la percepiva mentre sbucavano fuori dalle ombre anche i più piccoli dettagli. Quando fu tutto finito suo papà aveva azionato il giradischi e messo quella canzone. Sempre quella. Sempre la stessa. Ora non mi ami più Ed ho sentito un colpo al cuore Quando mi hai detto che Non vuoi stare più con me Bang bang  E resto qui Bang bang A piangere Bang bang hai vinto tu Bang bang Il cuore non l'ho più. (Bang Bang -Dalida).  
Non era più tempo d’ ingannare nessuno, neppure se stesso. Lei aveva un bel viso liscio che assomigliava a Emmylou Harris. Indossava una giacca di pelle nera striminzita e una camicetta bianca di raso sopra un jeans attillato. Quando arrivò sorridendo e salì in macchina, si strinse contro di lui. Quel calore che lei emanava lo aveva scosso fino dentro le ossa e sentirsi vivo, per uno che aveva le carte del destino nate male, era una sensazione indescrivibile. Guardando la strada mentre calava la notte, aveva parlato e ancora parlato, fino a spurgarsi l'anima. Poi si era librato nel cielo, ma questa volta lo aveva fatto un attimo prima che non riuscisse più a piangere. Quando riaprì gli occhi lei lo stava guardando e sfiorandolo con un bacio si accorse che c’era ancora una certa tensione in lui. “Adesso puoi levarti quella faccia da lupo”, gli sussurrò con dolcezza accarezzandogli i capelli. Lui avviò il motore, inserì un nastro e fece partire Burn, una canzone dei Dream Syndicate. Il cielo era scintillante di un blu intenso. Lei si girò nuovamente verso di lui e, affondando lo sguardo nei suoi occhi, si accorse che per la prima volta gli sorridevano Ma puoi sentirlo nel cuore. Sentirlo nell’anima. Sentirlo andare intorno finché non perdi il controllo. Sono solo poche cose che non possono essere raccontate. Non lo senti bruciare? (Burn - Dream Syndicate).





mercoledì 19 giugno 2013

In linea d'aria


Il vento sferzava e a malapena lui riusciva a trattenere il cappello sulla testa. Nessuno più portava il cappello, se ne rese conto in quel momento, e improvvisamente si sentì inadeguato. All’incrocio si fermò indeciso, avrebbe dovuto svoltare ad un certo punto, solo non ricordava quanti incroci aveva già attraversato; gli cadde l’occhio sul nome della strada dipinto sul muro scrostato, via delle Vittorie, era quella. Non era anche una strada del monopoli? Non ci giocava da secoli. Da piccoli non si immagina che non esiste un’età in cui si sarà davvero liberi di scegliere, e chissà se quelli che comandavano scoprivano di avere qualcuno al quale sottostare, o se rimanevano convinti di essere al di sopra di tutti. Ecco, bisognava essere convinti. Decise che si sarebbe seduto lì con la schiena eretta, ma doveva dare l’impressione di sentirsi a suo agio. Le persone sedute dietro una scrivania hanno questo potere di farti sentire una merda, semplicemente stando seduti comodi, mentre tu non puoi allungare le gambe sotto la scrivania, perché stai dalla parte chiusa. Come ci si può mostrare sicuri di sé quando si cozza contro una scrivania! Un clacson lo fece sobbalzare, quasi perse il cappello, ma che.. modi erano? La gente non aveva più pazienza, e dire che un tempo ci si spostava a piedi, si prendeva la bisaccia, qualche soldo, e non c’era da compilare nessun modulo; e se non si era esperti non importava, col bisogno e la voglia s’imparava tutto. Eppure quella vita non l’aveva conosciuta, cosa ne sapeva? Ma non riusciva più a pensare ai suoi tempi come ai migliori. Cosa ci abbiamo guadagnato? Se non hai un foglio di carta non sei nessuno, se ce l’hai non te lo chiedono, se lo porti di tua iniziativa ti dicono che non serve perché loro danno importanza ad altro, se non sapevi di dover avere un foglio di carta ti guardano come se fossi un bambino tardo.
Il vento fischiava, facendo frusciare le chiome degli alberi con insistenza. Ripensò al campeggio coi suoi genitori, a quindici anni, quando scappava di notte per andare con gli amici a dormire in spiaggia; forse era davvero vecchio, se a quindici anni non voleva fare nulla di male, e invece oggi se ne sentivano di tutti i colori; o forse aveva rimosso i dettagli. Chissà se i giovani avrebbero ricordato qualcosa di ciò che stavano vivendo ora, oramai non serviva più ricordare perché era tutto su internet, mentre un tempo i grandi sapevano certe storie a memoria; oggi però anche i giovani raccontavano storie, ma molto più piene di sesso, a quanto pareva; ma lui un quindicenne non l’aveva mai sentito raccontare, anzi non ne conosceva nemmeno uno. Si sentì solo. Una separazione così netta per fasce d’età non era normale, si aveva sempre un amico sposato, con bambini che all’improvviso avevano quindici anni e nuove esigenze. Non ci credeva che i ragazzini d’oggi fossero precoci, forse nei discorsi, ma c’era senz’altro ancora qualcuno che si faceva una sega! Si sentì disgustato, i ragazzi erano stupidi; e anche i loro genitori: vivevano nel loro mondo migliore chiuso, si vantavano se il ragazzo era sveglio anche se a scuola era così così, e se si potevano permettere di regalargli il motorino anche se non l’aveva meritato. Il motorino nessuno lo voleva più, ma avevano ragione, la scuola non serviva a nulla. Si fermò ad un altro incrocio, doveva essere quasi arrivato, vide due scooter fermi al semaforo, due ragazzi col casco tirato un po’ indietro, e si ricordò di quando era diventato obbligatorio, che casino c’era stato. E il divieto di fumare nei locali? Che cazzo, sembrava la fine del mondo. Gli vennero le lacrime agli occhi, si girò a cercare qualcosa a cui dare un calcio, voleva rompersi la scarpa e urlare dal dolore. Abbassò la testa e ricacciò indietro le lacrime. Come cazzo fanno le donne con le lacrime!? Forse anche lì era questione di convinzione. Non voleva dirlo, non voleva nemmeno pensarlo, ma c’erano giorni in cui la vita gli sembrava una merda. Perché non era tutto più semplice? Vide il negozio di cui gli avevano detto, fece un respiro profondo e attraversò, doveva stare attento perché gli autisti, quelli con le palle, non rallentavano mai, sicuri del loro sistema di frenata del cazzo. Ma questa gente che guidava, nella vita, cosa faceva? Lavorava, o giocava per strada? Aveva davvero fretta, o seguiva una moda perché stare calmi era da sfigati? Sì, c’erano anche quelli troppo calmi, ma loro forse si drogavano. Che schifo, parlava proprio come un vecchio.
“Buongiorno”, disse il ragazzo del negozio appena la campanella sulla porta si calmò. Cavoli, la campanella sulla porta, era da anni che non ne sentiva una. Prese dalla tasca una chiavetta usb e la posò sul banco. Il commesso gli sorrise, prese la chiavetta con sguardo esperto e la infilò nel computer. Esperto di cosa? Devi inserirla e stampare, cazzo, lo so fare anch’io. L’aggeggio era lento, il cuore iniziò a battergli forte, gli venne caldo, tamburellò sul banco con le dita della mano destra, agitato come un quindicenne all’interrogazione quando il professore l’ha già fatto apparire stupido e tutti hanno riso di lui. Aveva pure un cappello in testa! Ma non se lo tolse. “Quale stampo?”, gli chiese il ragazzo. Alzò su di lui gli occhi spauriti: “Il curriculum”, disse con un filo di voce, “grazie”.
Elle




martedì 18 giugno 2013

Prima o poi me lo sposo


Provate a cercare Anni Ottanta sull’enciclopedia. Perché dovreste utilizzare un’enciclopedia quando ormai esiste Wikipedia? Perché negli Anni Ottanta non esisteva Wikipedia e quindi fanculo Wikipedia.
In ogni caso, potreste trovare una definizione del genere:

Anni Ottanta: decennio che va dal 1980 al 1989, parte dall’omicidio di John Lennon e finisce con l’abbattimento del Muro di Berlino. Un decennio contrassegnato dallo yuppismo, dai paninari, dai capelli cotonati, dalla new-wave inglese e dall’hair trash metal americano, dai Duran Duran e dagli Spandau Ballet, da Madonna e Michael Jackson, da Cyndi Lauper e Billy Idol, da Heather Parisi e Lorella Cuccarini, da Ronald Reagan, Margaret Thatcher e Bettino Craxi, dalla rivoluzione della cultura hip-hop e della (s)cultura Fininvest, da Drive-In e Colpo grosso, dall’AIDS e da Chernobyl, dal Walkman e dall’Amiga, da Ritorno al futuro ed E.T, da Michael J. Fox e Drew Barrymore.



Quando si parla di Anni Ottanta, non si può prescindere da Drew Barrymore. Lei stessa si offenderebbe se non pensaste a lei. Credo non ci sia nessuno più attaccato a quel decennio di lei. Andando a ripercorrere la sua filmografia si può intravedere un percorso parecchio omogeneo, pur con qualche eccezione, com’è possibile vedere più spesso nelle carriere dei registi, di rado in quelle degli attori. A legare insieme molte pellicole del suo CV è il filo degli Eighties. Forse non poteva andare diversamente, per una che negli Anni Ottanta è cresciuta davanti alla macchina da presa.

1980, inizia il decennio e lei a 5 anni appena fa la sua prima apparizione in Stati di allucinazione di Ken Russell. Ma l’anno di grazia per lei è il 1982. Mentre a qualche migliaia di chilometri di distanza nasceva un certo blogger Cannibal Kid, lei diventava la baby-celebrità per eccellenza del decennio grazie al suo ruolo in E.T. - L’extra-terrestre. Quello della baby-star è un lavoro difficile, che logora e a cui pochi sopravvivono. Almeno a livello di carriera. Ad esempio Henry Thomas, l’Elliott di E.T., chi l’ha più visto? Vogliamo poi parlare della fine che hanno fatto o stanno ancora facendo Macaulay Culkin o Lindsay Lohan? Fare la baby-star è davvero dura, come si può vedere anche nel film Indovina perché ti odio con Adam Sandler. Drew Barrymore è tra le poche che l’hanno sfangata.
Dopo E.T., la nostra bimbominkia di giornata è stata la piccola protagonista dell’inquietante Fenomeni paranormali incontrollabili, horror cult (o scult?) Anni Ottanta, e ha continuato a essere la bimbetta più richiesta del decennio.



Uscita viva dagli anni Ottanta, sono arrivati i Novanta, il grunge, i Nirvana, la depressione, la droga e pure Drew Barrymore c’è finita dentro. Con tutti e due i piedi. Amica di Kurt Cobain e Courtney Love, Drew per Hollywood e non solo diventa una famigerata tossica, nonché una bad girl grazie alla sua partecipazione in filmetti come il thriller trash La mia peggiore amica. La sua carriera e la sua vita sembrano allo sbando, ma poi a salvarle la carriera, e forse anche la vita, arriva un horror che prende allegramente per i fondelli gli horror 80s. A firmarlo è lo stesso maestro degli horror 80s Wes Craven. Nonostante la sua scena in Scream possa essere vista come una metaforica uccisione degli Anni Ottanta, di cui la Barrymore è tra i simboli, bastano i pochi minuti iniziali della pellicola per riportare la sua stella alta in cielo. E poi…



Prima o poi me lo sposo
(USA 1998)
Titolo originale: The Wedding Singer
Regia: Frank Coraci
Sceneggiatura: Tim Herlihy
Cast: Adam Sandler, Drew Barrymore, Allen Covert, Christine Taylor, Matthew Glave, Ellen Albertini Dow, Angela Featherstone, Alexis Arquette, Steve Buscemi, Jon Lovitz, Billy Idol
Genere: 80s
Se ti piace guarda anche: Scrivimi una canzone, 50 volte il primo bacio, Mai stata baciata, Non per soldi… ma per amore, The Carrie Diaries, Take Me Home Tonight



Il film che darà una svolta vera e propria alla carriera di Drew Barrymore arriva un paio di anni dopo Scream, nel 1998, con Prima o poi me lo sposo. Più che un semplice film, più che una semplice (e ottima) commedia romantica, Prima o poi me lo sposo (solito pessimo titolo italiano che verrà scopiazzato pure da una commediola con Jennifer Lopez), è l’apoteosi degli Anni Ottanta. La pellicola, ambientata proprio in quel decennio, racconta di un Wedding Singer, un cantante squattrinato di matrimoni interpretato da Adam Sandler, e ogni inquadratura, ogni canzone, ogni singolo elemento grida “Ottanta!” a squarciagola.


Ci sono gli abiti sgargianti che persino le protagoniste di Pretty Little Liars si vergognerebbero di indossare, ci sono le pettinature ancora più sgargianti, c’è Drew Barrymore che guida una sgargiante Chevrolet gialla, c’è una trama che ricalca le migliori romcom del decennio, c’è il villain della situazione che ovviamente è uno yuppie della peggior specie, c’è l’amica della protagonista Christine Taylor che propone i vari look di Madonna, il tastierista della band di Adam Sandler è la copia di Boy George, c’è una colonna sonora che comprende pezzi di Cure, Smiths, David Bowie, Bruce Springsteen, Cars, New Order, Thompson Twins, Dead or Alive, Musical Youth, Falco, Sugarhill Gang, Nena, Journey, Lionel Richie, Police, Kajagoogoo, Elvis Costello, Psychedelic Furs, A Flock of Seagulls, Spandau Ballet, Hall & Oates B-52’s, Huey Lewis and the News, sui titoli di coda c’è “Video Killed the Radio Stars” rifatta dai Presidents of the United States of America e nella parte finale del film fa un cameo (idolesco) persino Billy Idol.

Se volete fare un tuffo in quel decennio, lasciate allora perdere l’enciclopedia e pure Wikipedia. Guardatevi questo film e avrete un bignamino esaustivo. Esistono ancora i bignami? Non lo so, ma negli anni ’80 erano un sacco popolari. Quasi quanto le polo Lacoste, il bomber, lo zainetto Invicta e le scarpe Timberland.
(voto 7/10)

Tutto in Prima o poi me lo sposo è deliziosamente Anni Ottanta, al punto che si fa davvero fatica a credere sia stato girato nel 1998. E invece è così ed è da lì che è partito, poco a poco, il revival del decennio. Continuato sempre con la sponsorizzazione di Drew Barrymore.
La sua successiva pellicola, Mai stata baciata, racconta di una giornalista trentenne che per scrivere un articolo si infiltra al liceo e in questo modo rivivrà la sua passata adolescenza. Naturalmente anche qui all’insegna degli anni ’80 e delle note degli Smiths.
Una doppietta di ottime commedie sentimentali cui farà seguito il remake cinematografico delle Charlie’s Angels, star degli anni ’70 ma comunque popolari pure negli 80s, e soprattutto il capolavoro del revival Anni Ottanta, Donnie Darko, film fortemente voluto e prodotto, oltre che interpretato in un ruolo minore, dalla stessa Barrymore.

La fissa dell’attrice per quel scintillante decennio non è mica finita qui. I ragazzi della mia vita parte dagli anni ’60 ma tocca anche gli 80s, altrimenti non sarebbe una vera pellicola con la Barrymore, mentre in 50 volte il primo bacio la maggior parte delle canzoni in soundtrack sono cover di brani da indovinate un po’ quale decennio? Discorso analogo per quasi ogni altro film in cui Drew compare, come Amore a mille… miglia che, nonostante l’ambientazione contemporanea, è contraddistinta da un uso spettacolare di hit anni ’80 come “Take My Breath Away” dei Berlin.
Scrivimi una canzone poi è addirittura la storia di un ex popstar degli Anni Ottanta stile Wham!, e infine il gradevolissimo esordio alla regia dell’attrice Whip It è una commedia sportiva che sembra uscita proprio dagli… 80s, sì sì. Come avete fatto a indovinare?
Adesso però basta con questo post-spot anni Ottanta. Ora vado a mangiarmi un panozzo mentre mi guardo Deejay Television dopo essermi fatto una partita a Pac-Man ed essermi ascoltato il nuovo dei Frankie Goes to Hollywood. Libidine.

Cannibal Kid

domenica 16 giugno 2013

ATTENTI A QUEI BLU !

Ci abbiamo provato e, si fa per dire, ci siamo riusciti. La collaborazione nata qualche tempo fa fra L'orablù, il Killer e Radio Pane & Salame ha prodotto un altro frutto: cliccando qui potrete ascoltare la prima trasmissione radiofonica condotta dal sottoscritto e da Cherotto, con la determinante collaborazione di Lozirion. Un'ora e mezza di musica (speriamo piacevole), cazzate galattiche e deliri alcolici che, ho come l'impressione, non resterà impunita. Ai nostri mandanti Ale & Fra (prendetevi anche voi un pò di responsabilità) il nostro esordio è piaciuto parecchio. Nonostante fosse la prima volta e ci muovessimo a tentoni. Non tutto è riuscito bene (conduttori radiofonici non ci si improvvisa). ma tutto sommato credo che gli uomini(e le donne) di buona volontà che avranno il coraggio di ascoltarci, troveranno modo di farsi quattro risate.
Il plot della trasmissione trae spunto da Attenti a quei due, mutuato in Attenti ai quei blu, in onore dell'associazione culturale, l'Orablù, della quale sia io che Cherotto e Lozirion, facciamo parte. Abbiamo vestito i panni, io di Danny Rock (rocker grezzo, ruvido e un pò volgare - cosa che peraltro, salvo qualche forzatura del copione, mi si addice benissimo) e Cherotto di Indie Brett (stiloso e perfettino, amante della musica ricercata,cosa che peraltro, salvo qualche forzatura del copione, gli si addice benissimo ). Alla consolle, magnifico come sempre, Lozirion, che ogni tanto ci ha regalato momenti magici da bergamasco delle valli.
Qui di seguito l'intro della trasmissione, così tanto per capire in che ginepraio state andando a infilarvi.

"Sono amici, ma non hanno nulla in comune; amano la musica, ma hanno gusti diametralmente opposti; collaborano entrambi per l'Orablù, ma mentre uno dei due dirige, l'altro è un umile portatore d'acqua. Quelli di radio Pane & Salame, che evidentemente stanno alla canna del gas, li hanno voluti insieme per questa trasmissione. Loro sono Indie Brett, dj di nobile stirpe, e Danny rock, un bovaro prestato alla musica. Il primo è carino, elegante, perfettino, profumato e molto stiloso; il secondo mette su quel che gli capita, ha litigato col barbiere e si profuma solo con l'Autan. Indie Brett mangia macrobiotico, usa le posate, beve tè alla menta e quando si arrabbia esclama "poffarbacco !"; Danny Rock, invece, è affezionato al suo colesterolo, tracanna tutto ciò che ha un grado più dell'acqua e quando s'incazza bestemmia come un camallo mentre scarica un container. Al primo piacciono le canzoni che piacciono alla gente che piace, ama l'alternativo e crea tendenza; il secondo adora il rock e i suoni ruvidi, ed è convinto, per parafrasare Vujadin Bosvkov, che "Musica è solo quando chitarra elettrica suona!". Insieme ce ne faranno ascoltare delle belle. Attenti a quei Blu ! Il rischio e il pericolo sono tutti vostri !"


Dimenticavo: visto che durante la trasmissione abbiamo sbertucciato e non poco i nostri sodali, Ale & Fra, questa sera ore 22.00 circa, durante la loro consueta diretta (NON PERDETELA, LORO SI', CHE SONO BRAVISSIMI!), è matematico che ce la faranno pagare. A caro prezzo.
Buon Ascolto ! 
Blackswan, domenica 16/06/2013

giovedì 13 giugno 2013

I tuoi confini, o Italia, son questi

Carissima RosaLux,
è vero, non trovo stanza; ma qui, peggio che altrove. E poi.. - forse m’inganno – ma parmi di trovar poco cuore: né posso incolparli; tutto si acquista; ma la compassione e la generosità e, molto più, certa delicatezza di animo nascono sempre con noi, e non le cerca se non chi le sente.
Pur troppo questa galante gentaglia è affetta da generosità, perché non ha coraggio di vendicarsi palesemente; ma chi vedesse i notturni pugnali, e le calunnie, e le brighe!
Frattanto l’occasione mi ha smascherato tutti que’ signorotti, che mi giuravano tanta amicizia, che a ogni mia parola faceano le meraviglie, che ad ogni ora mi proferivano la loro borsa e il lor cuore! Sepolture! Bei marmi, e pomposi epitaffi, ma se tu li schiudi vi trovi vermi e fetore.
Quando penso agli ostacoli che frappone la società al genio ed al cuore dell’uomo, e come ne’ governi licenziosi o tirannici tutto è briga, interesse e finzione… io m’inginocchio a ringraziar la natura che dotandomi di questa indole nemica di ogni servitù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato ad innalzarmi sopra la mia educazione.
S’io avessi venduta la fede, rinnegata la verità, trafficato il mio ingegno, credi tu ch’io non vivrei più onorata e tranquilla? …forse più che l’amore della virtù il timore della bassezza m’ha trattenuta sovente da quelle colpe, che sono rispettate ne’ potenti, tollerate ne’ più, ma che per non lasciare senza vittime il simulacro della giustizia sono punite nei miseri.
Quel che importa, si è (e tu in ciò sei d’accordo), che questa indole mia schietta, ferma, leale, o piuttosto ineducata, caparbia, imprudente, e la religiosa etichetta che veste d’una stessa divisa tutti gli esterni costumi di costoro, non si confanno; e davvero io non mi sento in umor di cangiar d’abito. Anzi buona o rea ch’io sia, ho la generosità, o di’ pure la sfrontatezza, di presentarmi nuda, e quasi quasi come la madre natura m’ha fatta.
Sarei matta se avendo trovato nella mia solitudine la tranquillità de’ beati, i quali s’imparadisano nella contemplazione del sommo bene, io per… per “evitare il pericolo d’innamorarmi” (ecco la tua stessa espressione) mi commettessi alla discrezione di questa ciurma cerimoniosa e maligna.
Nella società si legge molto, non si medita, e si copia: parlando sempre, si svapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue, si balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi.
RosaLux! S’io dovessi far sempre la guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con me stessa in eterna guerra, e senza pro. Mi butto a corpo morto e vada come sa andare.

Io non lo so… ma temo che la natura abbia costituita la nostra specie quasi minimo anello passivo dell’incomprensibile suo sistema, dotandolo di cotanto amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza, creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre occupati di questa esistenza breve e dubbia.
E mentre noi seguiamo ciecamente il suo fine, ride ella frattanto del nostro orgoglio che ci fa reputare l’universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar leggi a tutto quello ch’esiste.

Tanti affanni assediano la nostra vita,
che per mantenerla
vuolsi non meno che un cieco istinto prepotente
per cui siamo spesso forzati
- quantunque la natura ci porga
i mezzi per liberarcene –
a comperarla coll’avvilimento,
col pianto, e talvolta ancor
col delitto!

E per questo, oh quanto è men doloroso andar accattando porta in porta la vita, anziché umiliarsi, o esecrare l’indiscreto benefattore che, ostentando il suo beneficio, esige in ricompensa il tuo rossore e la tua libertà! Essendo più agevole approvar la virtù, che sostenerla a spada tratta e seguirla; e noi siam soliti ad associarci al più forte, a calpestare chi giace, e a giudicar dall’evento.
Ma l’infelice che serba la sua dignità è uno spettacolo di coraggio ‘a buoni, e di rimbrotto a’ malvagi. Pur troppo!, noi sfuggiamo d’intendere i mali de’ nostri amici; le loro miserie ci sono gravi, e il nostro orgoglio sdegna di porgere il conforto delle parole, sì caro agli infelici, quando non si può unire un soccorso vero e reale.

Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostri desiderj si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che, vestito diversamente, ci annoja; e le nostre passioni non sono in fine del conto che gli effetti delle nostre illusioni.
Così vaneggio! Cangio voti e pensieri, e quando la natura è più bella, tanto più vorrei vederla vestita a lutto. O illusione! Questa notte… tutto tutto mi gridava: infelice tu deliri! Spaventata e languente mi sono buttata boccone sul letto abbracciando il guanciale, e cercando di tormentarmi nuovamente e d’illudermi.
E tu, mia RosaLux, m’abbandonerai tu? L’amicizia, cara passione della gioventù, e unico conforto dell’infortunio, langue nella prosperità. Oh gli amici, gli amici! Tu non mi perderai se non quando io scenderò sotterra. Ed io cesso di querelarmi talvolta delle mie disgrazie, perché senza di esse non sarei degna forse di un’amica; né avrei un cuore capace di amarla.

Ahi società! E se non vi fossero leggi protettrici di coloro che, per arricchire col sudore e col pianto de’ proprj concittadini, gli spingono al bisogno e al delitto, sarebbero poi sì necessarie le prigioni e i carnefici? Io non sono sì matta da pretendere di riordinare i mortali. No no; io non voglio più respirare quest’aria fumante sempre del sangue de’ miseri. Non voglio più oltraggi, né favori da veruno degli uomini possenti. E fosse anche una debolezza; le debolezze degli uomini sommi vanno rispettate: e chi n’è senza, scagli la prima pietra.
O antica mia solitudine. Ove sei tu?
Mi compiaccio delle mie infermità, io stessa palpo le mie ferite dove sono più mortali, e cerco d’inasprirle, e le contemplo insanguinate… e mi pare che i miei martirj rechino qualche espiazione alle mie colpe, e un breve refrigerio ai mali che ho causati.

Mia RosaLux, tu non hai torto, mai, ma dove cercherò asilo? In Italia? Infelice terra! Premio sempre della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi gli occhi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti, e non piangere d’ira? Devastatori de’ popoli, si servono della libertà come i papi si serviano delle crociate.
Temo che spogliandoli della magnificenza storica e della riverenza per l’antichità, non avrò molto a lodarmi né degli antichi, né de’ moderni, né di me stessa… umana razza! Così noi tutti Italiani siamo fuoriusciti e stranieri in Italia, e lontani appena dal nostro territoriuccio, né ingegno, né fama, né illibati costumi ci sono di scudo; spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati da’ nostri medesimi concittadini i quali, anziché compiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guardano come barbari tutti quegli italiani che non sono della loro provincia, e dalle cui membra non suonano le stesse catene… Dimmi, RosaLux, quale asilo ci resta? …e perché io debbo dunque, o mia patria, accusarti sempre e compiangerti, senza niuna speranza di poterti emendare o di soccorrerti mai?
In tutti i paesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochi che comandano, l’universalità che serve, e i molti che brigano. E sia così: lascio il mondo com’è. Ma.. credimi, la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia, due quarti alla sorte, e l’altro quarto ai loro delitti. “Goditi il mondo com’è, e tu vivrai più riposato e men pazzo”. Ma non è vile quell’uomo che è travolto dal corso irresistibile di una fiumana, bensì chi ha le forze e non le adopra. I governi impongono giustizia; ma potrebbero imporla se per regnare non l’avessero prima violata? E poiché l’umana schiatta non trova né felicità né giustizia sulla terra, crea gli Dei protettori della debolezza e cerca premj futuri del pianto presente.

Gli amori della moltitudine sono brevi
ed infausti:
giudica,
più che dall’intento, dalla fortuna;
chiama virtù il delitto utile,
e scellerataggine l’onestà che
le pare dannosa;
e per avere i suoi plausi conviene
atterrirla,
o ingrassarla,
e ingannarla sempre.

I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. E s’io commetto un’azione dannosa ai più, io sono punita, mentre non mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni, quantunque ridondino in sommo mio danno. Ciascun individuo è nemico nato della società perché la società è necessaria nemica degli individui.
“Ma i debiti i quali tu hai verso la società?” Debiti? Forse perché mi ha tratta dal libero grembo della natura quando io non aveva né la ragione, né l’arbitrio di acconsentirvi, né la forza di oppormi, e mi educò fra i suoi bisogni e fra i suoi pregiudizi? RosaLux, perdona s’io calco troppo su questo discorso tanto da noi disputato. Posso dire: io sono un mondo in me stessa; ed intendo d’emanciparmi perché mi manca la felicità che mi avete promessa. Torno a piangere e a tremare, corrotta quasi dal mondo, dopo avere sperimentati tutti i suoi vizj… Ah no! i suoi vizj mi hanno per brevi istanti forse contaminata, ma non mi hanno mai vinta! …ho cercato virtù nella solitudine.


E scrivendoti, mi libero alquanto da’ mie’ pensieri, e la mia solitudine diventa assai meno spaventosa.
Addio, mia sola amica, addio.

Sempre tua,


(accostamento di brani dal libro Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, con qualche adattamento di nomi, di genere, di punteggiatura e di accapo)



martedì 11 giugno 2013

Vero come la finzione

Vero come la finzione
(USA 2006)
Titolo originale: Stranger Than Fiction
Regia: Marc Forster
Sceneggiatura: Zach Helm
Cast: Will Ferrell, Maggie Gyllenhaal, Emma Thompson, Dustin Hoffman, Queen Latifah, Tony Hale, Tom Hulce, Linda Hunt, Kristin Chenoweth
Genere: letterario
Se ti piace guarda anche: Ruby Sparks, The Truman Show, Il ladro di orchidee, Essere John Malkovich, Synecdoche New York

(voto 6,5/10)


Stava scrivendo un altro dei suoi post. L’ennesimo per quel suo blogghetto, Pensieri Cannibali. Non è che fosse un sito eccezionale o chissà cosa, però gli piaceva impegnarsi per realizzare dei post che fossero un minimo originali. Magari anche interessanti. Ogni tanto glieli pubblicavano anche su L’OraBlù, quando volevano farsi del male.
Stava scrivendo dell’ultimo film che aveva visto, Vero come la finzione. In quel periodo si era preso una fissa per i film con Will Ferrell, chissà perché. Nessuno sa il perché, nemmeno io che sono il narratore onnisciente. Onnisciente un paio di palle. Ci sono cose che nemmeno noi possiamo sapere. Saremo narratori onniscienti, saremo una razza superiore alla vostra, ma non siamo Dei. Ci andiamo vicino, ma non lo siamo del tutto.



Vero come la finzione è però un film diverso dai soliti con Will Ferrell. Non è una delle sue tipiche esilaranti stronzatone comiche, come il geniale Fratellastri a 40 anni, o i vari Ricky Bobby e Blades of Glory. Questa volta aveva voluto fare più il serio, come Adam Sandler quando ha girato Ubriaco d’amore o Reign Over Me. Vero come la finzione è una commedia drammatica o, se preferite, un dramma dai risvolti di commedia. Un dramedy, o anche una commedia grottesca. Uno di quei film con una sceneggiatura che sembra firmata da Charlie Kaufman, solo che non lo è. Rispetto alle pellicole girate da Spike Jonze, Michel Gondry o dallo stesso Kaufman, questo è un cinema meno indie e più, come dire?, tradizionale. Un grottesco atipico, di quelli contaminati con il gusto di una commedia hollywoodiana classica, d’altra parte la sceneggiatura è firmata da Zach Helm, quello di Mr. Magorium e la bottega delle meraviglie. Un incrocio di cose, intrigante sebbene non riuscito fino in fondo, che ricorda molto Ruby Sparks. E Ruby Sparks è venuto dopo… che gli autori si siano per caso ispirati un pochino a questo film? La tematica è molto simile, quella della realtà e della finzione che si mescolano, come si può intuire anche dal titolo della pellicola. Pure in questo caso abbiamo un personaggio letterario che prende vita, come Ruby Sparks. O forse non è che prende vita dalla letteratura. Il personaggio è vivo, vero, e una narratrice racconta ciò che gli capita e lui a un certo punto se ne accorge. Si rende conto di essere al centro di una narrazione, controllato e spiato ovunque come Truman in The Truman Show. Una di quelle tipiche situazioni che portano alla schizofrenia.



Stava scrivendo di questo film, questo Vero come la finzione per un nuovo post da pubblicare su Pensieri Cannibali e pure su L’OraBlù, si stava impegnando, se solo avesse saputo che… quello sarebbe stato il suo ultimo post. Proprio così. Quello che non sapeva, era il motivo. Perché sarebbe stato il suo ultimo post? Stava per morire? Oppure il blog avrebbe chiuso? Un potente portale cinematografico stava per acquisirlo? La rete Internet sarebbe collassata? Il mondo così come lo conoscevamo stava per finire?
In qualunque caso, quello sarebbe stato il suo ultimo post. Decise allora che doveva impegnarsi di più, doveva scrivere qualcosa di davvero memorabile. Doveva lasciare una traccia che nessuno avrebbe dimenticato mai. Impresa mica facile. Quando ci si sforza troppo è ancora più difficile riuscire a tirare fuori qualcosa che lasci davvero il segno.
Ci voleva una frase storica, qualcosa tipo: “Non può splendere il sole per sempre.” O “La vita è come una scatola di cioccolatini spiaccicata a terra.” O “Al mio segnale, scatenate il Paradiso!”. O ancora “Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare… Maria de Filippi in fiamme lanciare dei rapper al largo dei bastioni di Canale 5.”



Qualcosa in grado di rimanere per sempre. Ma non gli veniva in mente nulla. Continuava a pigiare i tasti sulla tastiera e gli uscivano solo fiumi di parole memorabili quanto “Fiumi di parole” dei Jalisse. Si sentiva un personaggio letteralmente in cerca di autore come Will Ferrell nel film. Sentiva come se non fosse il reale padrone del suo destino, il capitano della sua anima… uh bella, questa frase. Peccato l’abbiano giù usata nella poesia Invictus.
Fu allora che realizzò una cosa. Non sarebbe riuscito a scrivere qualcosa di tanto bello e memorabile quanto la poesia Invictus. Non in quel momento. Non con quella pressione addosso. In fondo, perché quello doveva essere l’ultimo post che scriveva? Chi lo diceva? Soltanto una stupida voce narrante fuori campo che parlava chissà da dove. Cose ne poteva sapere?
Figuriamoci se quello sarebbe stato il suo ultim

Nel segno di Badit