mercoledì 31 luglio 2013

La notte del giudizio


Ultima recensione del ragazzo cannibale prima della pausa estiva. Con lui le trasmissioni riprenderanno a settembre. Buone vacanze da tutti noi de L'Orablù, caro Cannibal Kid!


La notte del giudizio
(USA, Francia 2013)
Titolo originale: The Purge
Regia: James DeMonaco
Sceneggiatura: James DeMonaco
Cast: Ethan Hawke, Lena Headey, Max Burkholder, Adelaide Kane, Rhys Wakefield, Tony Oller, Edwin Hodge
Se ti piace guarda anche: Demolition Man, The Strangers, Black Mirror


Stufi delle solite feste?
Natale, Pasqua, Carnevale, S. Valentino… Persino Halloween ormai ha perso la sua antica magia. Aspettate allora qualche anno, quando gli Stati Uniti introdurranno una nuova festività: The Purge, l’epurazione, una notte del giudizio in cui tutti i reati, omicidio compreso, sono leciti. Per 12 ore all’anno, niente polizia, niente ambulanze, niente pompieri, niente soccorsi. Scatta l’anarchia totale e le persone sono libere di distruggere tutto e uccidere chiunque, tanto c’è una specie di indulgenza plenaria legalizzata.
Nel 2022 immaginato da questo film, grazie a questo giorno di “sfogo”, il tasso di criminalità è sceso ai minimi storici, insieme al livello di disoccupazione, così come l’economia è finalmente tornata a crescere dopo un lungo periodo di recessione. La soluzione alla crisi è The Purge. Dopo 364 giorni da angioletti, gli americani hanno una notte per poter tirare fuori il loro lato peggiore e grazie a tale stratagemma tutto è tornato a girare per il meglio.


Un’idea che può apparire assurda e paradossale fin che si vuole, però siete così sicuri che non vi piacerebbe avere a disposizione una notte del genere per fare fuori chi proprio non sopportate?
Lo so che in fondo in fondo siete dei buoni, voi splendidi lettori di Pensieri Cannibali, ma negli USA una legge del genere potrebbe anche incontrare parecchi favori ed essere approvata senza troppi problemi. In ogni caso, si tratta di uno spunto fantastico da cui è nata una pellicola da non sopravvalutare, ma nemmeno da sottovalutare.
Da non sopravvalutare, perché si tratta di un film cinematograficamente valido però niente di eccezionale e il regista/sceneggiatore James DeMonaco, al suo secondo film dopo Staten Island, può ancora migliorare parecchio. Tra le interpretazioni si segnalano una bravina Lena Headey di Game of Thrones e soprattutto il perfido Rhys Wakefield, giovane attore da tenere d’occhio, mentre non convincono più di tanto Ethan Hawke in versione yuppie del futuro, Max Burkholder che ripropone un ruolo di ragazzino strambo non troppo distante da quello nella serie Parenthood e la teen Adelaide Kane, attualmente nel cast di Teen Wolf. Inoltre, la piega che la trama prende dopo la prima folgorante mezz’ora è quella classica della famiglia rinchiusa in casa, assediata da un gruppo di maniaci mascherati, visivamente non troppo distanti dagli strangers di The Strangers. Uno spunto di partenza originale, per uno sviluppo non troppo originale.


La notte del giudizio non va però nemmeno sottovalutata. Si tratta infatti di una delle poche pellicole horror recenti-decenti a offrire uno sguardo sul presente e a immaginare un futuro distopico inquietante persino più del mondo in cui viviamo oggi. Un film a suo modo politico, che offre riflessioni sullo scontro tra classi, l’evergreen Ricchi VS. Poveri. Da non confondere con i Ricchi e Poveri, la celebre (oddio, forse un tempo) band di musica leggera italiana. Durante la notte della Purge, la upper class si scatena infatti contro poveri e senzatetto, che non possono permettersi una protezione. Facendoli fuori, eliminano anche il problema della disoccupazione. Un rimedio semplice semplice, non vi pare? Patrick Bateman potrebbe apprezzare.


La notte del giudizio è una visione thriller-horror molto tesa, perfetta per una visione notturna estiva. Allo stesso tempo, è pure una pellicola dai contorni fantascientifici che immagina un futuro preoccupante in maniera analoga a quanto fanno gli episodi della serie UK Black Mirror, riuscendo ad avere anche un’impronta socio-politica. Quest’ultimo aspetto si sarebbe di certo potuto approfondire maggiormente, invece la sceneggiatura predilige gettarsi su sentieri thriller più consueti. Ciò nonostante, è già un piccolo miracolo dei giorni nostri trovarsi di fronte a un horror che non si rivela la solita girandola di morti ammazzati nella maniera più assurda possibile e che riesce a far riflettere, su tematiche tra l’altro più attuali che mai. Per quanto riguarda la situazione economica, ovviamente, e pure per la tematica della giustizia fai da te e dell’eccesso del diritto a proteggersi, tornata con prepotenza alla ribalta negli USA dopo l’assoluzione del vigilantes che ha ucciso un ragazzino afroamericano.


La notte del giudizio non è un capolavoro e non va sopravvalutato nel giudizio. Allo stesso tempo, non prendetelo nemmeno troppo sotto gamba perché, per una notte all’anno, tutti i crimini sono legali. E, per una notte all’anno, finalmente c’è un horror da non considerare illegale.
(voto 7/10)

martedì 30 luglio 2013

Caro amico, mi scrivi? - Frank


Dalla ridente Cesenatico il buon Frank ci invia una cartolina e rappresenta le casette dei pescatori. Grazie Frank! A presto con altre cartoline!

venerdì 26 luglio 2013

Le playlist di Radiopanesalame


Dopo l'annuncio fatto un paio di domeniche fa ai microfoni di Radiopanesalame ecco belle pronte le playlist composte dai 4 animatori della web radio che ormai possiamo ritenere parte integrante de L'Orablù. Le potete trovare qui dove si possono ascoltare in streaming o scaricare e godersele con calma al momento che ritenete opportuno.
Ma i 4 baldi moschettieri webradiofonici non si sono limitati a buttare giù alcuni pezzi che ritengono un valida proposta contro i tormentoni estivi, si sono pure inventati un contest per voi che ci seguite, infatti potete votare qui la playlist che preferite e compilarne una con i 12 pezzi che gradite di più. Intorno ai primi di settembre si tireranno le fila e i brani più votati saranno trasmessi in un puntatone speciale che vedrà Ale, Fra, Danny e Indie riuniti per l'occasione.
Infine vi consigliamo di mettere Mi piace alla pagina di Radiopanesalame in modo da rimanere aggiornati su tutto ciò che riguarda la nostra web radio ufficiale.

giovedì 25 luglio 2013

MACCHIANERA BLOG AWARD: WE WANT YOU!!!


Potremmo fare quelli “tanto non mi interessa”, “in fondo son stupidate”… e invece no: noi ci teniamo!! Ci piacerebbe che i nostri amici (ma anche nemici, conoscenti, simpatizzanti o antipatizzanti...) ci eleggessero come il loro Community Blog di riferimento.
Ora potremmo protenderci in una lunga operazione di captatio benevolentia ma la cosa, sinceramente, non ci appartiene. Ci piace che questo Blog (www.orablublogspot.com giusto per ricordarvi l’url completa da riportare nella scheda voto) sia la vetrina delle iniziative della Associazione Culturale Orablù ma che sia anche una Agorà virtuale dove ci si possa incontrare e parlare dei più disparati argomenti.
Siamo in continua progressione. Amici che passano e lasciano qualcosa di loro, uno scritto, una canzone, un disegno. Spesso ci regalano qualcosa rubando tempo a loro blog personali. È per questo che ci permettiamo di darvi anche qualche indicazione di voto, invitandovi proprio a visitare (nel caso non li conosceste ancora) e a votare anche i loro blog già che è necessario (al fine della validità del voto) esprimere la propria preferenza almeno in otto categorie diverse.

E adesso forza, mettete in attesa il vostro avversario a Ruzzle e datevi ad un ottimo esercizio di virtual ginnastica: muovete il mouse sul Macchianera Blog Award e.... VOTATE, VOTATE, VOTATE!!!!
(oppure votate sulla scheda che trovato in fondo al post)

Con tutto l’affetto di cui siamo capaci (ed è tantissimo, sapevatelo!!!) GRAZIE!

Ecco i nostri consigli: 
  1. miglior sito collettivo: ORABLU
  2. miglior disegnatore o vignettista: GIUSEPPE SCAPIGLIATI (lafirmacangiante.blogspot.com), GIOVANNI LO RE (giovannilore.blogspot.com)
  3. miglior sito di cinema: pensiericannibali.blogspot.com (CANNIBAL KID); whiterussiancinema.blogspot.com (Mr FORD)
  4. miglior sito musicale: comeunkillersottoilsole.blogspot.com; it's only rock'n'roll: lozirion-rnr.blogspot.com (LOZIRION), rocksaloon.blogspot.com (DIAMOND DOG), dustyroad-federico.blogspot.com (BARTOLO FEDERICO)
  5. miglior personaggio: BRADI PIT (lafirmacangiante.blogspot.com - www.facebook.com/bradipitilbradipo)
  6. miglior sito letterario: robydickwritings.blogspot.com (ROBYDICK) - lospiritonellacasa.blogspot.com (ELLE)
  7. radio podcast: Attenti a quei blu (RADIO PANESALAME)
  8. Miss Internet: VINCENZINA: http//vincenzinaworld.tumblr.com/page/2
  9. Mr Internet: BARNIE. giovannilore.blogspot.com


mercoledì 24 luglio 2013

Caro amico, mi scrivi? - Irriverent Escapade


Ecco chi è già stato in vacanza ed al suo ritorno ci manda lo stesso una cartolina: "Rientrata dalla settimana di break, in attesa della vera vacanza, accaldati baci dalla metropoli
I.E."
Grazie mille Irriverent! Seguite il suo esempio e inviate una vostra immagine a orablubollate@gmail.com

martedì 23 luglio 2013

Solo Dio perdona



Solo Dio perdona - Only God Forgives
(Francia, Thailandia, USA, Svezia 2013)
Titolo originale: Only God Forgives
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn
Cast: Ryan Gosling, Vithaya Pansringarm, Kristin Scott Thomas, Tom Burke, Yayaying Rhatha Phongam, Gordon Brown, Charlie Ruedpokanon, Byron Gibson
Genere: refnerenziale
Se ti piace guarda anche: Oldboy, V per vendetta, Kill Bill


Solo Dio perdona, recita il titolo della pellicola di cui parlo quest’oggi.
Non è mica vero. Anche io perdono. Perdono al regista Nicolas Winding Refn di aver creato una delle pellicole più noiose nella storia dell’umanità, Valhalla Rising. L’ho perdonato a tal punto da essere riuscito a dimenticare quella batosta di film e adorare completamente il suo lavoro successivo, Drive. Così come perdono Ryan Gosling per aver raggiunto la grande fama con uno dei film più smielati degli anni recenti, ovvero Le pagine della nostra vita, e perdono a Kristin Scott Thomas di aver fatto parte di un’altra delle più grandi lagne del cinema mondiale, Il paziente inglese.


Io perdono, sì quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa, regalami un sorriso io ti porgo una rosa, su questa amicizia nuova pace si posa, perché so come sono infatti chiedo perdono, sì quel che è fatto è fatto io però chiedo scusa, per quelle rare volte in cui posso aver scritto delle cazzate, o recensito un film frettolosamente, o ancora aver consigliato una pellicola per me bellissima e che voi invece avete poi trovato una schifezza. In questo caso, io consiglio di dare un’occhiata a Solo Dio perdona, però non vi posso assicurare che vi piacerà. È un film particolare, molto ma molto Refn. Se vi aspettate un nuovo cult totale come era stato Drive, resterete inevitabilmente delusi. Anche chi ha apprezzato questo suo ultimo sforzo, non può considerarlo al livello del suo illustre predecessore. Gli manca qualcosa. Gli manca la stessa forza emotiva che guidava Drive. Qui il danese è ritornato alla sua glaciale freddezza abituale. In compenso, dentro Solo Dio perdona ci si può ritrovare tutto il suo cinema. Come nella trilogia di Pusher, abbiamo di nuovo a che fare con uno spacciatore (l’attore feticcio di Refn, Ryan Gosling), sebbene la sua professione venga solamente menzionata a parole ma non esercitata nei fatti. Come nella trilogia che ha lanciato il regista, anche qui abbiamo poi una situazione famigliare particolare e intricata. Il fratello di Ryan Gosling non può essere certo definito una personcina a modo e, dopo aver stuprato e ucciso una ragazzina di 16 anni, viene a sua volta brutalmente fatto fuori dal padre della ragazza, con la complicità di un agente di polizia (l’inquietante e impronunciabile Vithaya Pansringarm).
A questo punto, arriva in città, ovvero Bangkok in Thailandia, la madre dei due ragazzi, una idolesca Kristin Scott Thomas. È lei il personaggio più loquace di un film altrimenti quasi muto ed è lei a tirare fuori le battute più divertenti di un film violento, durissimo, ma che a sorpresa in alcuni momenti sa persino far ridere. Ed è lei a gridare vendetta per la morte del figlio Billy (Tom Burke).

Solo Dio perdona. Non è vero. Anche Ryan Gosling era pronto a perdonare la morte del fratello, certo non un santo, per mano del padre della ragazza uccisa.

Ryan Gosling: “Billy ha stuprato e ucciso una ragazzina di 16 anni.”
Kristin Scott Thomas: “Avrà avuto le sue ragioni.”

Tutti gli altri personaggi della pellicola invece tengono fede al titolo e di perdonare non ne vogliono sapere, tanto da trasformare la vicenda in una faida infinita, per una delle più sanguinarie rassegne vendicative viste su schermo dai tempi del doppio volume di Kill Bill e della trilogia della vendetta di Park Chan-wook.

Oltre a questo gioco al massacro, c’è qualcos’altro?
Eh, insomma. Refn ha dipinto la sua pellicola visivamente più bella, Drive escluso, ma a livello di contenuti e di profondità nella costruzione dei personaggi, la sceneggiatura mostra qualche lacuna. Siamo alle solite. Il danese a livello di regia è impeccabile, non gli si può dire niente, come autore di script invece ha ancora ampi margini di miglioramento. Niente che meriti come punizione l’amputazione delle mani, come avviene nel film, però poteva azzardare anche qualcosa in più sulle psicologie dei suoi protagonisti. Il personaggio di Ryan Gosling, in particolare, ci viene mostrato qua e là con qualche sprazzo di umanità, subito dopo negato, cosa che impedisce un vero avvicinamento empatico come invece capitava con l’autista quasi autistico Driver di Drive, probabilmente il più umano, seppure a suo modo, tra tutti i personaggi dell’universo refniano (che poi si dirà refniano o refnaniano?).


Spettacolare senza riserve è invece Kristin Scott Thomas, più sexy e sboccata che mai, una MILFona con i controcazzi che illumina il film e che avrebbe meritato uno spazio ulteriore. Refn però gioca a fare il bastardo, proprio come il personaggio interpretato da Ryan Gosling. Ci fa intravedere attimi di poetica violenza, di brutale bellezza e poi, poi tira indietro la mano. Quando il film sembra dover crescere, raggiungere il suo climax, si spegne. Magari sbaglio io, ma la parte finale, nonostante il suo simbolismo, mi sembra un po’ affrettata. Forse per questo che a Cannes sono piovuti tanti fischi nei confronti della pellicola, dopo gli applausi per Drive.

Un’accoglienza che ricorda quella riservata a Terrence Malick, passato dalla Palma d’Oro per The Tree of Life agli sberleffi dei critici riservati a To the Wonder. Questo Solo Dio perdona è un po’ il To the Wonder di Refn: una pellicola che è quasi un esercizio di stile ed è molto autoreferenziale, anzi refnerenziale. Se Drive era un film indipendente, che poteva essere compreso e amato anche da chi non aveva la più pallida idea di chi Refn fosse, Solo Dio perdona appare più come un tassello che per essere decifrato in pieno va collocato all’interno della sua filmografia. Come detto prima, si ritorna dalle parti della trilogia di Pusher, ma c’è anche qualche lampo di ironia come in Bleeder, c’è la lentezza esasperante di Valhalla Rising, i corridoi, gli spazi claustrofobici e le sequenze visionarie di Fear X, le accelerazioni di ultraviolenza di Bronson e Drive.



Non solo un remix delle sue pellicole precedenti, comunque. Refn tenta inoltre di proporre uno stile differente, più orientaleggiante, ancor più simbolico che in passato, cosa che rende la sua decodificazione un’impresa non semplice. Si tratta di una pellicola da una parte dalla sceneggiatura semplicissima e dai dialoghi minimal quasi inesistenti, dall’altra è un film profondo e complesso, criptico e difficile, proprio come To the Wonder, e che, in maniera analoga, sa accendersi e donarci lampi di bellezza assoluti e di grande cinema, grazie anche alle atmosfere sonore costruite da un Cliff Martinez che ormai si conferma tra i compositori di musica per il cinema più in forma del momento. In aggiunta ai suoi brani, ci sono un paio di canzoni thai al karaoke, che rappresentano i momenti emotivamente più forti di un film anoressico, da un punto di vista sentimentale. Una caratteristica non nuova, all’interno del cinema di Refn. Dimenticatevi quindi la “scena dell’ascensore” di Drive. Qui al massimo potrete trovare la sequenza di una tipa che si masturba davanti a Gosling legato a una sedia. Il vertice del romanticismo di questo spietato Solo Dio perdona.


Il finale non sarà il massimo, non tutto sembra girare al meglio, mancano quei dettagli in grado di trasformarlo in un cult come Drive, l’insieme risulta persino troppo freddo, ma per il resto si tratta di una pellicola visivamente notevolissima, in grado di ritrarre una Bangkok desolata e priva di umanità. Una visione buona, a tratti persino splendida, cui si può anche perdonare qualche difettuccio. Perché non è vero che Solo Dio perdona. Anche io lo posso fare.
O forse ciò significa che io sono come Dio?

(voto 7,5/10)


lunedì 22 luglio 2013

Caro amico, mi scrivi? - Elle


Anche la nostra amica e collaboratrie Elle, che risiede a Berlino, ha inviato una sua particolare cartolina. Attendiamo altre cartoline all'indirizzo orablubollate@gmail.com.

sabato 20 luglio 2013

ATTENTI A QUEI BLU : BEATLES & ROLLING STONES






L’ultima puntata di Attenti a quei blu prima delle vacanze estive sarà dedicata alle due band che maggiormente ricorrono nell’immaginario collettivo degli appassionati di musica. Per ragioni di copione, Danny Rock trasmetterà le canzoni dei Rolling Stones e Indie Brett quelle dei Beatles.Tuttavia, questa sarà una puntata in cui le scaramucce fra i nostri “eroi” saranno ridotte all’osso, perché di fronte a tali mostri sacri, la rivalità scema per confluire nel racconto, nella curiosità e soprattutto nella leggenda. In scaletta, sono previste canzoni famose, ma non famosissime, e questa è una scelta dettata dalla volontà di evitare i luoghi comuni, rendendo così la trasmissione  meno scontata. Non mancheranno tuttavia momenti effervescenti, il sempre più determinante contributo di Pota Rock, i deliri di “un’oscura presenza”, le mail degli ascoltatori e un’inaspettata telefonata.
Se volete seguirci, potrete ascoltare la trasmissione o scaricare il podcast a partire da domani mattina, domenica 21 luglio, cliccando QUI.
Buon ascolto e buon divertimento !

Caro amico, mi scrivi? - L'Ale


Saluti dalla splendida Sardegna da Ale di Ale&Franz ... Viva RadioPaneSalame!


venerdì 19 luglio 2013

E.K. e il mistero del mammone


Che ci sono persone che dicono sempre che prima si stava meglio, Emilio lo sapeva già da tanto. E non ascoltava nemmeno più, se qualcuno raccontava che prima l’aria era più sana e i buoi avevano teste più grandi, perché il più delle volte non era vero, e queste persone erano solo di quelle che non vogliono mai essere soddisfatte, perché altrimenti sarebbero soddisfatte.”

Quattro milioni di abitanti aveva Berlino e nessuno di loro si interessava a Emilio. Nessuno vuol sapere mai dei problemi degli altri, perché ognuno ha già abbastanza da fare coi propri problemi e i propri piaceri. E quando qualcuno dice ‘mi dispiace davvero’, il più delle volte non intende altro che ‘ma lasciami in pace!’”


Siamo a Berlino negli anni Venti, quando Erich Kästner pubblica il suo primo romanzo per bambini, che ha come piccoli protagonisti Emilio e i detective. Dovrebbe essere un giallo per bambini però c’è qualcosa in più, qualcosa di troppo.
Di Kästner avevo già letto un libro, dal titolo Quando ero bambino, in cui l’autore racconta la sua infanzia fino ai dieci anni o poco più, specifica infatti di non poter andare oltre, altrimenti il libro non potrebbe più essere il racconto di “quando era bambino”, e ha ragione. Racconta della sua infanzia e da un certo punto in poi si concentra molto su sua madre e sul loro rapporto, si capisce che sua madre era per lui molto importante. Come in ogni autobiografia che si rispetti, il protagonista è lui e le sue mani avanti, come se sapesse già che qualcuno avrebbe sollevato obiezioni. Qualcuno avrà detto qualche volta al nostro caro Erich che la sua è stata sicuramente un’infanzia infelice, che era senz’altro insoddisfatto perché povero, e che ha subito dei traumi perché era figlio unico? Non lo so, però lui ci tiene a precisare di aver avuto un’infanzia felice, di aver fatto sempre quello che voleva anche se era povero, e di non aver mai sofferto di solitudine. D’altronde aveva sua madre, gran donna che lui innalza agli onori della gloria, ripetendo nel dettaglio quanto fosse speciale.
Anche in questa autobiografia (ma dovrei dire “racconto della sua infanzia”) si rivolge ai bambini, ai suoi piccoli lettori, spiega loro il suo scrivere, racconta loro la sua vita, fa loro da educatore spiegando qualcuno dei misteri della vita, mettendoli in guardia in qualche modo, ad esempio sul passare del tempo indimenticabile:
“’Da allora sono passati più di 50 anni’, dice obiettivamente il calendario, questo ragioniere vecchio e pelato nell’ufficio della storia, che controlla il conto del tempo e sottolinea, con inchiostro e righello, gli anni bisestili in blu e quelli a inizio secolo in rosso. ‘No!’, grida il ricordo e scuote i riccioli. ‘Era ieri!’, e sorridendo aggiunge piano: ‘O al massimo l’altro ieri’. Chi ha sbagliato?
Entrambi hanno ragione. […] Il nostro ricordo, l’altro modo di misurare il tempo, non ha niente a che fare con il metro e il mese […]. Vecchio è ciò che si è dimenticato. E l’indimenticabile era ieri. L’unità di misura non è l’ora ma il valore.”
Il linguaggio è semplice, i concetti sono quelli di base, ma che si imparano crescendo: che cos’è il tempo, come lo si misura, come se ne diventa vittime; ma ad un certo punto si scopre anche che il proprio metodo di misurazione, quello per così dire “infantile” che si era usato fino ad allora, rimane l’unico davvero valido personalmente.
Del linguaggio semplice dedicato a bambini e ragazzi fanno parte i numerosi “ma questo adesso non c’entra”; dei concetti meno semplici e degli insegnamenti più o meno espliciti, fanno parte alcuni piccoli commenti, come quello che parla della febbre puerperale: “Il dottore Semmelweis è stato chiamato ‘il salvatore delle madri’ e, dalla grande ammirazione, ci si è dimenticati di erigergli dei monumenti. Ma questo non c’entra”. Alcune volte, al suo “ma questo adesso non c’entra” avrei risposto “stavo per dirtelo io”. In questo caso però si parla di qualcuno a cui avrebbero dovuto fare un monumento anziché ammirarlo e basta: proprio quello che succede alle mamme, no?


Come in ogni autobiografia che si rispetti, Erich racconta le origini dei due rami della famiglia, quello paterno e quello materno, motivo per cui trovo sempre noiose le biografie. Si punta sui pregi, senza nascondere i difetti, si trasformano alcuni difetti in presunti pregi, motivo per cui trovo le biografie poco realistiche, sicuramente di parte, in qualche modo insincere, spesso inutili: “Noi Kästner non siamo particolarmente curiosi del grande mondo. Non soffriamo di nostalgia per ciò che è lontano, piuttosto di nostalgia di casa […]. Se noi potessimo portar appresso il letto e la finestra del soggiorno, allora se ne potrebbe forse parlare! […] noi siamo, temo, amici della casa, dell’abitudine e della comodità. E noi abbiamo, accanto a questa ambigua caratteristica, una virtù: siamo incapaci di annoiarci. Una coccinella sul vetro della finestra ci tiene completamente impegnati”.
Trasformare uno sguardo ebete rivolto ad una coccinella su una finestra in una virtù è ammirevole. La mancanza di curiosità viene qui presentata come un difetto, il tono è quasi di scusa, io che sono in parte curiosa non ho mai pensato che non esserlo sia un difetto, così come non riesco a pensare che esserlo sia in assoluto una qualità: dipende da come si mostra e si muove questa curiosità, non dimentichiamoci che la curiosità uccise il gatto. Però non mancano le persone che si reputano curiose e se ne vantano, quasi sottintendendo che chi non lo è sia un poveraccio che deve in qualche modo motivare la sua mancanza di curiosità, scusarsi o difendersi davanti ad un giudice supremo, possibilmente presentando a deporre il medico che ha isolato il gene ereditario vero colpevole. Erich fa di più, lui trova una spiegazione che punta sulla sfida alle emozioni: non sono curioso, ma vuoi mettere avere nostalgia di casa? Non c’è paragone.
Ma perché mai avere nostalgia di casa dovrebbe essere un’abitudine ambigua? Cosa c’è da disambiguare? O è solo per avere un contro peso della virtù di non annoiarsi mai? Qualcuno ha detto forse al piccolo Erich che non essere curiosi è noioso? Che avere nostalgia di casa è ripetitivo? Che è da mammoni??

In modo pacato, Erich sembra approfittare della sua autobiografia, o del racconto della sua infanzia, quale è in realtà, per rispondere fuori dai denti a quanti avevano senz’altro cercato di convincerlo di essere un bambino sfortunato perché figlio unico, e sfrutta il suo essere autore famoso per metterlo nero su bianco pubblicamente. Inizialmente, altri motivi davvero validi a giustificare il seguente passaggio, non ne ho trovati: “Ci sono molte persone giudiziose nel mondo e talvolta hanno ragione. Se hanno ragione quando sostengono che i bambini dovrebbero assolutamente avere fratelli, solo perché altrimenti crescerebbero da soli, verrebbero viziati e rimarrebbero per tutta la vita degli originali, questo non lo so. Anche le persone giudiziose si dovrebbero proteggere dalle generalizzazioni”.
In questo passaggio si ha conferma che il libro si rivolge ai bambini, perché il nostro Erich in sostanza ha gentilmente detto a tutti quelli di cui sopra un bel “fatevi i cazzi vostri”, ma senza dire parolacce o essere offensivo, li chiama anzi “persone giudiziose”.
Dall’intero libro traspare spesso, fino a dichiarazioni più esplicite, il già nominato amore, sconfinante nell’adorazione, per sua madre, così alla fine ho rivalutato la mia prima impressione: forse non è stato Erich ad esser stato oggetto di critiche, d’altronde non è stata colpa sua se è rimasto figlio unico, ma sua madre, e lui intendeva difendere proprio lei da accuse che forse ha sentito scendere a pioggia sulla madre, sputacchiate da altre donne che la mettevano in guardia sui rischi del non avere altri figli. Il piccolo Erich diventato grande può quindi sputare in faccia a tutti i mal pensanti la sua lampante verità: anche se la sua mamma l’ha fatto figlio unico, lui non è cresciuto matto come un cavallo, bensì sano come un pesciolino. ‘Fanculo ai mal pensanti insomma.

Eppure qualche sassolino nella scarpa.. “Volevo fare ginnastica e facevo ginnastica, perché mi divertivo. Non volevo essere né diventare un eroe. E non lo sono nemmeno diventato. Né un eroe finto, né un eroe vero. Conoscete la differenza? Gli eroi finti non hanno paura, perché non hanno fantasia. Sono stupidi e non hanno coraggio. I veri eroi hanno paura e la superano.” Disse lo sfigato che aveva capito tutto della vita. Ora qualcuno potrebbe pensare che io ce l’abbia in qualche modo con Erich, ma non è del tutto così. Esatto, non del tutto, solo in parte. Mi piace il suo linguaggio semplice, il fatto che si rivolga ai bambini e gli spieghi un po’ di cose, è molto attuale nonostante sia da considerarsi oramai del secolo scorso. La storiella scorre lieve e mentre la leggevo pensavo a mia madre, perciò ho comprato un’altra copia del libro e gliel’ho regalata, perché è esattamente il tipo di storia che piace a lei: buonista e madre-centrica. Erich potrebbe essere il figlio devoto che non ha mai avuto. Io infatti sono contraria a qualsiasi forma di devozione e adorazione. Povera donna.
Il buonismo di Erich, e il fatto che ripeta quanto fosse forte, coraggiosa, lavoratrice sua madre, anche alla luce dei tempi che erano, mi ha infastidita, questo è chiaro. Le ripetizioni mi infastidiscono. L’abbiamo capito, Erich, che tua madre era fantastica, come tutte le mamme, ma tu sei un bambino speciale che non dimenticherà mai quanto la sua mamma fosse speciale, prenderemo tutti esempio da te. Io ad esempio, a distanza di anni dalla mia infanzia, ho regalato a mia madre il figlio devoto che non ha mai avuto. In formato tascabile.


Adesso potete immaginare con quale disappunto abbia letto il primo capitolo del giallo per bambini in cui il piccolo Emilio è tanto affezionato alla mamma, l’aiuta in tutto, cerca di essere buono e di risparmiare perché sono poveri e la mamma lavora tanto e non si merita che lui sia disubbidiente perché se non fosse per lei.. La mamma di Emilio e quella di Erich sono incredibilmente simili: pure lo stesso lavoro! Il primo capitolo mi ha dato sui nervi, che giallo è un libro buonista con un bambino che ripete che la mamma si sacrifica eccetera? Non muore nessuno? Emilio è un ometto tanto buono e ubbidiente, però, finché sul treno per Berlino non gli rubano i soldi faticosamente guadagnati dalla mamma e che lui doveva portare alla nonna, allora s’incazza e decide di smascherare il ladro, improvvisando un po’. Ma è quando incontra Gustavo, un bambino berlinese, che la storia si smuove davvero.


Gli incontri con gli sconosciuti capitano a tutti, quando poi si arriva da una cittadina di provincia nella grande Berlino e l’incontro avviene con un bambino di città dal linguaggio impertinente, si può sfociare in uno scontro. La sfida a fare a pugni viene lanciata subito, perché Gustavo non manca di prendere in giro Emilio per il suo “abito buono”. Ma subito dopo nasce una collaborazione, perché la storia che racconta Emilio è fichissima e Gustavo non può fare a meno di offrire il suo aiuto, anzi il suo e quello di tutti quelli che riesce a trovare. E così riunisce una ventina di altri bambini, il capo dei quali è chiamato il Professore, ed è lui che dà gli ordini: è una missione vera e propria, recuperare i soldi di Emilio e punire il ladro. Il Professore delinea la strategia e divide i compiti, c’è chi resterà di guardia, chi procurerà qualche moneta per eventuali spostamenti in tram, chi procurerà da mangiare, chi avvertirà le famiglie che loro faranno tardi o che tizio rimarrà a dormire da caio che però dormirà da sempronio eccetera. Un compito delicato avranno soprattutto quelli che in casa hanno un telefono, necessario per le comunicazioni a distanza: una staffetta porterà l’ambasciata in entrata e in uscita dalla casa del centralinista. Tutti i bambini sono entusiasti della loro missione, ma anche serissimi nel loro compito. Un altro ambasciatore andrà a casa della nonna di Emilio, che sta per chiamare la polizia perché lui non è arrivato alla stazione col treno regionale come previsto, per rassicurarla. Uno dei personaggi più impertinenti e simpatici è la cugina di Emilio, che si aggrega e fa pure qualche battuta sul ruolo delle donne (portare cibo ai detective senza poter partecipare alle indagini), ma senza dar troppo peso alla cosa.
E all’improvviso, finalmente, l’onnipresente Erich scompare per lasciare spazio a Emilio e ai detective e alle loro mosse per smascherare il ladro. È come se nel descrivere i vari personaggi e le situazioni Erich riuscisse ad essere un neonato ma promettente autore di gialli per bambini, mentre quando deve descrivere Emilio, ritornasse il bambino sfigato e bisognoso di difendere il suo buonismo che era. Tutto fila, nulla stona, tutto è realistico nella sua semplicità, tutto è a portata di bambino, delle sue curiosità, delle sue fantasie: a chi non piacerebbe fare il detective e acciuffare un manigoldo? Mi ha ricordato la mia infanzia, i giochi per strada, gli inseguimenti, i nascondigli, le trame, le risoluzioni, cosa non ci si inventava!
Non mancano però, visto il personaggio che è ‘sto autore, le incursioni buoniste, come il discorso fra bambini sul comportamento dei propri genitori, più o meno permissivi: sant’Emilio, proprio come il piccolo Erich, adora la sua mamma e non solo la aiuta, ma si priva eroicamente di mezz’ora di gioco per cenare con lei e non lasciarla mai sola, come dire che questa donna ha sempre il figlio in mezzo ai coglioni, anche quando gli dà il permesso di star fuori più a lungo, lui zac!, torna a casa prima del previsto. Anche quando gli dà i soldi per comprarsi quello che vuole, lui no!, non li spende perché la mamma li ha guadagnati col sudore della sua fronte, povera donna coraggiosa.
Emilio lo spiega al Professore, che gli ha chiesto se sua madre è severa:
Mia madre? Neanche per sogno: lei mi permette tutto. Ma io non lo faccio, capisci?”
No”, disse il Professore con sincerità, “non lo capisco.”
E Emilio che vien dalla campagna spiega al bambino di città come va il mondo:
Allora, ascolta. Avete molti soldi?”
Questo non lo so. A casa non parliamo molto di queste cose.”
Secondo me, quando a casa non si parla molto di soldi, significa che se ne hanno molti.”
Il Professore rifletté un attimo poi disse: “È possibile.”
Vedi? Io e mia mamma parliamo spesso di soldi, perché noi ne abbiamo pochi […]. Ma quando facciamo una gita con la scuola, mia mamma mi dà gli stessi soldi che ricevono gli altri ragazzi. Qualche volta addirittura di più. […] E io gliene riporto la metà.”
Te lo dice lei?”
Certo che no! Lo voglio io!”
Emilio però, a contatto coi nuovi amici berlinesi, diventa pure simpatico. Quando non parla di sua madre, intendo. Ha idee, ma tutti ne hanno. Prende decisioni, ma le più importanti le lascia al Professore. È buono, sì, quindi ringrazia tutti, ma se deve sfidare qualcuno a fare a pugni lo fa subito. A volte sembra un vero bambino fantasioso e non il guru dei rapporti di famiglia. Ognuno dei piccoli detective ha il suo momento di gloria, e alla fine del romanzo ci pensa la nonna a dare un po’ di gloria anche all’unico che era stato dimenticato, in modo da non mancare all’appuntamento buonista finale.



Una volta acciuffato il ladro (e non vi dico come, se non che l’idea è infantile e geniale come tutto il resto), il romanzo sarebbe dovuto finire ma no, Erich non è soddisfatto se non edifica un bel monumento a lui e a sua madre, e cosa si inventa per ricordarmi che l’autore del giallo per bambini è proprio lui? Innanzitutto fa ricomparire un personaggio che era solo una comparsa che ha fatto una buona azione dimenticabile (come tutte le buone azioni), e indovinate come fa di nome questo personaggio? Kästner, guarda caso. Il più buono di tutti, la sua mamma sarà contenta, ci scommetto. Quando Emilio lo incontra la prima volta ha luogo la prima e unica sfida portata a termine del romanzo (esatto, la sfida ai pugni non avrà luogo): Emilio cerca di essere più buono dello sconosciuto, ma lo sconosciuto, che è adulto e ha anni di esperienza sul groppone come unico buono di turno anche nei festivi resiste e vince la partita. Ed è buono nonostante sia un giornalista curioso! È cresciuto proprio bene, educato e rispettoso, il nostro Erich, complimenti alla mamma.
Poi c’è l’evitabile sorpresa del premio: un'altra occasione di scrivere qualche capitolo in meno sprecata. Bastavano i complimenti del commissario? Certo che no, ci voleva la taglia sul malandrino. E perché ci voleva? Non indovinate? Ma per aiutare economicamente la povera mamma che lavora tanto e dare occasione al piccolo Erich, alias Emilio, di mostrare tutta la sua abnegazione! E senza dover aspettare anni e anni di diventare uno scrittore famoso e di veder pure bruciati i suoi libri dai nazisti.
Perciò, se dei 18 piccoli capitoli elimino l’1 e il 2, la fine del 15 quando il benefattore misterioso si rivela un giornalista e invita Emilio e i suoi amici detective a pranzo e insiste e non si leva di torno, neanche fosse uno spasimante della mamma desideroso di fare bella figura, e i capitoli 16, 17 e 18, posso dire che questo giallo per bambini è davvero bello, nella sua semplicità. Voglio dire: anche se non muore nessuno.


Erich Kästner:
Quando ero bambino, tradotto da Elisabetta Terigi
Emil und die Detective, illustrato da Walter Trier (le citazioni le ho tradotte io)

Elle

Caro amico, mi scrivi? - La Bea


Il messaggio allegato a questa cartolina è breve e non specifica da dove arriva: Baci da Bea & co....

Ricambiamo, cara Bea & co, nell'attesa di ricevere altre cartoline all'indirizzo: orablubollate@gmail.com

giovedì 18 luglio 2013

Caro amico, mi scrivi? - Il presidente

Ingorgo stradale a Minorca

Ci ha scritto il Presidente!!! Proprio lui!!! Il Presidente della nostra Associazione!!! Attraverso la First Lady ci ha fatto avere due immagini da Minorca, località dove sta passando le vacanze.
Ringraziamo il Presidente e ne approfittiamo per invitarvi a mandarci le vostre immagini a orablubollate@gmail.com.

Ciutadella Minorca by night: arte di strada

mercoledì 17 luglio 2013

Caro amico, mi scrivi? - Il Cola


Oggi ben due cartoline sono arrivate dal caro amico Cola (che si è immortalato nella foto sotto) che ringraziamente di queste belle immagini scattate ad Antibes, in Costa Azzurra, alla statua Nomade di Jaume Plensa che si trova di fronte al Museo Picasso.

Ne approfitto per ringraziare anche tutti quelli che in questi giorni hanno inviato le loro cartoline e che a breve verranno pubblicate.

Ricordiamo l'indirizzo dove spedire le vostre cartoline: orablubollate@gmail.com


martedì 16 luglio 2013

Blades of glory e Fratellastri a 40 anni

Seconda e ultima parte delle recensioni cult dedicate a Will Ferrell. La prima parte si trova qui.

Blades of Glory - Due pattini per la gloria
(USA 2007)
Titolo originale: Blades of Glory
Regia: Josh Gordon, Will Speck
Sceneggiatura: Jeff Cox, Craig Cox, John Altschuler, Dave Krinsky
Cast: Will Ferrell, Jon Heder, Jenna Fischer, Amy Poehler, Will Arnett, William Fichtner, Craig T. Nelson, Romany Malco, Nick Swardson, Andy Richter, Rob Corddry, Luke Wilson
Genere: ice ice Ferrell
Se ti piace guarda anche: Dodgeball, Io vi dichiaro marito e marito


Blades of Glory è un serio candidato al titolo di film più gay della storia. O perlomeno se la gioca con il recente Behind the Candelabra.
Perché?
Perché i protagonisti Jimmy e Chazz sono i due pattinatori su ghiaccio più bravi e famosi del mondo. Non vi sembra già una cosa abbastanza gay?


Tra i due fenomeni di questo sport c’è una accesissima rivalità, non solo per essere i numeri 1 assoluti, ma anche perché rappresentano uno l’opposto dell’altro. Jimmy, interpretato dal facia da pirla Jon Heder, quello di Napoleon Dynamite, è tutto precisino, perfettino nelle esecuzioni, tanto quanto Chazz, il nostro eroe di giornata Will Ferrell, è invece più ribelle e folle nelle sue esibizioni. Il diavolo e l’acqua santa, in pratica. La loro rivalità è talmente accesa che i due finiscono per fare a botte dopo una gara e vengono così radiati dalle competizioni. Vengono radiati come pattinatori singoli, ma c’è una possibilità per loro di ritornare in gara…
In coppia.
E così i due saranno costretti a diventare un duo. Il primo duo composto da due uomini nella storia del pattinaggio. Come potete ben immaginarvi, ciò porterà a vari momenti molto gay…
Come in Ricky Bobby, ma anche in Dodgeball, anche in questo caso la vicenda assume i contorni della parodia delle solite storione sportive e il livello di umorismo è pressappoco lo stesso. Sono inoltre presenti un sacco di momenti memorabili, in particolare le esibizioni in coppia di Jimmy e Chazz.


D’ora in avanti sono loro i miei pattinatori su ghiacchio preferiti, altroché Carolina Kevin Kostner.
(voto 6,5/10)




Fratellastri a 40 anni
(USA 2008)
Titolo originale: Step Brothers
Regia: Adam McKay
Sceneggiatura: Will Ferrell, Adam McKay
Cast: Will Ferrell, John C. Reilly, Mary Steenburgen, Richard Jenkins, Adam Scott, Kathryn Hahn, Andrea Savage, Seth Rogen
Genere: peterpanFerrell
Se ti piace guarda anche: Cocco di nonna, 40 anni vergine


E veniamo a quello che per me è il Capolavoro comico assoluto di Will Ferrell, nonché uno dei film più spassosi che io abbia visto negli ultimi anni. Fratellastri a 40 anni è una lunga sequenza di momenti da pisciarsi sotto dal ridere, dall’inizio alla fine, ma è anche un film a suo modo coraggioso. Oserei quasi dire che è un massacro dell’American Way of Life. Fare soldi, fare carriera, mettere su famiglia? Non è quello che hanno in mente i due protagonisti, Will Ferrell e la sua spalla comica ideale John C. Reilly, che si ritrovano fratellastri a 40 anni. I loro genitori, vedovi entrambi, si innamorano e si sposano e tutti e 4 vanno a vivere insieme, sotto lo stesso tetto.



Da commedia semplice e cazzara quale comunque è, Fratellastri a 40 anni si trasforma così in una comicissima esaltazione del non crescere, del non prendersi responsabilità, del più puro bamboccionismo. Sì, Will Ferrell e John C. Reilly in questo film sono due bamboccioni, i due più grandi bamboccioni immaginabili, ma il loro è anche un vaffanculo gridato in faccia all’American Dream e alle convenzioni.
Pur muovendosi all’interno della commedia americana goliardica tradizionale, Fratellastri a 40 anni è quindi una pellicola a suo modo controcorrente, che nemmeno nel finale si addolcisce. Un mio personale nuovo piccolo grande cult della comicità, con cui Will Ferrell si guadagna definitivamente un posto d’onore tra i miei comici del cuore. Sia detto anche, massì, in senso un po’ gay.
(voto 7,5/10)